L'abissale vitalità di Franca Valeri, a cui gli amici chiedono: ti stiamo annoiando?, e lei risponde: sì
Ma un altro amico meno celebre del mio Arbasino, e un po’ più agé, continua a fare lunghi viaggi da solo. Pensando a lui, ho due timori. Il primo: c’è la notizia di un eccidio o rapimento di turisti. Chi sono? I nomi? Altro pensiero: di ritorno verrà a cena, oddio, tutto il racconto del viaggio.
Franca Valeri, “La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia)” (Einaudi)
I primi a sparire, scrive (a mano, con la penna) Franca Valeri in questa divagazione sulla vecchiaia, e sul secolo scorso che le è appartenuto completamente, sono il sesso, la villeggiatura e i locali notturni. Le cose divertenti che non si faranno mai più, le cose a cui una signora, che improvvisamente ha compiuto molti anni, penserà da una posizione privilegiata, che spiegata da lei è al tempo stesso divertente e spietata: la posizione del superstite (“ma se non hai la struttura adatta è meglio morire prima”). Franca Valeri (il cognome glielo scelse un’amica che stava leggendo le poesie di Paul Valéry) guarda il mondo e le persone, gli amici giovani e quelli che non si rassegnano a diventare vecchi, le vedove incontrate in treno, le mogli conosciute sulla spiaggia, i giovani fan che le vanno incontro emozionati al ristorante, con un’attenzione meticolosa, e con la libertà assoluta di dire tutto quello che pensa, anche che si sta annoiando mentre gli amici parlano di film che lei non ha visto, o di lunghi viaggi in oriente, o di rughe.
“Se sono superstite voglio viverla, la vita”, con questi quattro soldi e molti animali, e un sorrisetto un po’ incredulo e un po’ fiero quando le dicono: sei un personaggio mitico, quando cercano di mettere Franca Valeri dentro una cornice, lassù in alto, mentre lei sempre scrive e inventa e ha la testa piena di idee che la tengono sveglia, ma non sempre piena di benevolenza per ciò che vede, per le signore che superano i sessanta ma indossano i jeans (“Ho delle vecchie amiche in jeans e questo lo trovo immorale… perché attaccarsi ai pantaloni?”), per noi così malvestiti, così insicuri del nostro valore, così in attesa di un voto e così pieni di dubbi. “Io anche sotto le bombe non avevo dubbi. Dipende dal tempo”. Il modo con cui Franca Valeri guarda questo tempo è distaccato, come se in fondo non fossero mai stati affari suoi, ma attento, ed è nostalgico in un modo concreto, piantato nella realtà, saldo nei pensieri e nei ricordi. “Come dirglielo, a quel ragazzo ventenne, che ci è bastato essere molto sicuri delle nostre idee per entrare in quelle degli altri?”, per costruire una lunghissima giovinezza, che secondo lei inizia intorno ai trent’anni.
La vita viene poi scandita dagli uomini che si sono amati e per cui ci si è rese indispensabili, anche traditori che importa, e dagli amici (molti sono morti, adesso ci sono nuovi amici giovanissimi, e anche invidiabili belle signore settantenni devastate dall’ansia di invecchiare), gli amici che hanno abbellito le serate, i debutti, le sciocchezze, i viaggi, gli amici senza i quali è impossibile continuare a vivere e a muovere i pensieri. “Certo partire con un uomo amato è stato indimenticabile, ma che impegno. Anche questo mi ha regalato la vita”. Ma che impegno, amare. E adesso vorrebbe ricordare l’ultima volta che ha fatto l’amore, ma non le torna in mente, le dispiace non avere una data, un giorno in cui trovare gli estremi di una storia, ma sarebbe assurdo e anche noioso, dice Franca Valeri, che una caterva di anni ci trovasse sempre allo stesso punto. Così adesso, a novantasei anni, capita di annoiarsi e di ripensare a quell’abissale vitalità che sentiva una volta, senza telefoni, a quelle discussioni interminabili. “Ricordo che ci sembrava sempre di avere lasciato un racconto a metà. ‘Lo richiamo, in fondo sono solo le due’”.
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