Dodici storie segrete, dodici bugie, dodici verità nella vita imperfetta delle nostre famiglie
Melita Cavallo, fino a poco tempo fa presidente del Tribunale dei minorenni di Roma, con “I segreti delle madri” racconta come la mancanza di verità possa provocare tormenti che si trasformano in casi giudiziari
Le persone mentono con grande disinvoltura e spesso in maniera molto convincente, perché la menzogna produce sicuramente un vantaggio, o evita uno svantaggio, almeno nel breve periodo.
Melita Cavallo, “I segreti delle madri”
(Editori Laterza)
Melita Cavallo è stata fino a poco tempo fa presidente del Tribunale dei minorenni di Roma, e ha lavorato come giudice minorile a Milano, Napoli e Roma. Ha ricevuto la Legion d’Onore in Francia, ma soprattutto ha ascoltato migliaia di storie di famiglia, ha difeso bambini spaventati e donne non ancora arrese, si è infilata nei segreti più indicibili delle famiglie, e con ago e filo ha cercato di aggiustare, di trovare un modo, ha letto tutte le relazioni dei Servizi sociali, ma soprattutto ha guardato negli occhi questi ragazzi e ragazze, ha pensato a loro la notte, ha plasmato anche la sua vita sulle loro storie. Del suo libro precedente, “Si fa presto a dire famiglia”, sempre pubblicato da Laterza, mi era rimasto in mente un proverbio napoletano che Melita Cavallo aveva usato per spiegare, almeno in parte, il suicidio di un ragazzo di cui si era occupata in Tribunale. Era più o meno così: “Tu puoi vivere senza sapere perché, ma non puoi vivere senza sapere per chi”. Là si trattava di storie di bambini ostaggio di guerre fra i genitori, qui si tratta di bugie, di verità nascoste, di origini negate. C’è un livello altissimo di intensità, nel leggere le vere vite distrutte da un segreto e a volte salvate dalla verità.
La storia di Adelina, che partorì a dodici anni per una violenza subita da una fratellastro, e diede il figlio in adozione, e da adulta non aveva mai osato pronunciare la sua storia, e non osava raccontare la sua vita al marito perché aveva paura di essere abbandonata da tutti, e non rimaneva incinta per il terrore, non riusciva nemmeno a pensare alla verità che la tormentava e piangeva soltanto, fino alla liberazione e alla rinascita, attraverso la confessione di “quella verità di quando ero piccola”, di quella notte in cui aveva troppo freddo e il suo fratellastro l’aveva riscaldata. “Spesso in famiglia il conflitto esplode e si palesa quando il velo di menzogne si squarcia. Custode della verità è spesso la madre. A volte per paura, a volte per debolezza, spesso con le migliori intenzioni, è la donna che più di frequente si illude di poter salvaguardare l’integrità della propria famiglia continuando a mantenere un segreto. Ma quasi sempre si rivela un errore”. Forse allora c’è un rapporto fra la verità e la felicità, se la mancanza di verità provoca tormenti che si trasformano in casi giudiziari, e portano a distruggere una famiglia nel profondo, fino a che non c’è più nulla da salvare. In questo libro ci sono dodici storie di verità svelate e di segreti impossibili da portare avanti, e la metà riguarda la ricerca delle proprie origini. Il segreto sulla nascita, la risposta alla domanda: per chi vivo.
Le protagoniste di queste ultime sei storie sono tutte donne, di diversa età, con un ostinato bisogno di conoscere le radici esistenziali. Le donne custodiscono i segreti, ma le donne hanno bisogno di svelare i segreti, di squarciare il velo delle bugie. Michela sentiva da sempre il sentimento di non appartenenza alla sua famiglia. “Un sentimento indistinto, di certo non razionale, ma continuo e persistente, segnalato da quasi tutte le persone venute da me in Tribunale”, scrive Melita Cavallo, che ha aiutato queste persone a ricomporre l’idea del mondo, soprattutto a trovare un posto. Michela è riuscita a ritrovare sua madre dopo più di dieci anni di ricerche, quando era ormai troppo tardi, perché quella donna era morta. “Mi cascò di nuovo il mondo addosso”. Invece Michela trovò sua sorella, l’unica figlia ad avere il nome della madre in quanto non adottata e cresciuta dai nonni. Così somigliante a lei, così felice di incontrarla e di restituirle con lo sguardo la sua identità genetica. O almeno una certezza importante dentro l’immensa imperfezione dell’umanità.