I saggi di Saul Bellow hanno la vitalità dei romanzi, e aiutano a credere nell'esistenza degli altri
"Differenziarsi dagli altri è pericoloso. E però, come tutti dovremmo sapere, sottrarsi ai pericoli del dissenso è da vigliacchi"
Fortunatamente, tra la vita come la viviamo e come diciamo di viverla esiste ancora una differenza. Possediamo un’intelligenza segreta, che ci aiuta. Possediamo una discreta capacità di riconoscere la falsità dei postulati più diffusi e accettati. Ci sono delle intuizioni metafisiche e morali che ci allontanano da ciò che ci è stato insegnato, dal patrimonio di “conoscenze” che abbiamo accumulato.
Saul Bellow, “Troppe cose a cui pensare”, (BigSur)
L’esaltazione che dà leggere questa raccolta di saggi di Saul Bellow, dal 1951 al 2000, dev’essere quasi pari al momento in cui scopriamo la nostra intelligenza segreta, libera dai cliché e dalle etichette che altri hanno preparato per noi, e la utilizziamo, e finalmente ci sembra di riuscire a respirare. Bellow sosteneva che il suo compito fosse quello di raccontare, non di predicare, e per la sua intelligenza segreta, per la libertà su cui ha costruito la grandezza di scrittore, parlano i romanzi, ma questi saggi, scritti negli anni Cinquanta oppure Novanta, hanno la vitalità di un romanzo, la furia e il senso dell’umorismo e la profondità di chi ha trovato una musica, una voce, e usa quella musica per raccontare i libri degli altri e i propri, la cultura americana e la condizione di scrittore, soprattutto la ricerca costante di che cosa sia, davvero, l’uomo. “Chi ha il meglio di tutto desidera anche le migliori opinioni. Quelle di prima categoria. Il tipo di pensiero giusto, oltretutto, facilita le relazioni sociali, mentre il tipo sbagliato espone a accuse di insensibilità, misoginia e, forse, peggio ancora, di razzismo. Man mano che il fascino del consenso o del conformismo – cresce, i rischi legati all’indipendenza aumentano. Differenziarsi dagli altri è pericoloso. E però, come tutti dovremmo sapere, sottrarsi ai pericoli del dissenso è da vigliacchi”, ha detto Bellow nel 1988, in una conferenza intitolata: Lo scrittore ebreo in America, in cui parla anche della sua storia personale (nato in Canada da una famiglia lituana emigrata da San Pietroburgo, passò illegalmente la frontiera ed ebbe finalmente la sua adolescenza a Chicago alla fine degli anni Venti: “Sentivo di essere una creatura nata per narrare e interpretare, partecipando così a un gioco insolito ed esaltante. Amavo le cose grandi. Ero convinto che spettare a un gioco così esaltante mi spettasse di diritto”). Ma soprattutto Bellow parla della sostanza di un essere umano, e dell’impulso di comprendere il mondo, della bellezza di avere: troppe cose a cui pensare. “Esiste un elemento di crescita, negli esseri umani, che non può essere racchiuso all’interno dei robusti involucri che fabbrichiamo di continuo”.
Saul Bellow ha citato molti importanti scrittori, e dentro questa raccolta di saggi ce n’è uno bellissimo in cui lui e Philip Roth fingono una sterminata intervista durata due anni e mezzo, ma a questo punto Bellow, per spiegare che cos’è l’uomo libero dai cliché, cita “uno scrittore che ammiro enormemente, Ignazio Silone”. Che nel suo L’avventura di un povero cristiano racconta di avere incontrato in un biblioteca un amico letterato, il quale gli chiede perché stesse facendo ricerche su Celestino V, un papa del Medioevo, e gli dice: “In queste tue visite a biblioteche di conventi, immagino che tu sia costretto a incontrare dei frati. Non ne provi ribrezzo?”. Silone risponde: “Tu non li consideri come gli altri esseri umani?”. A Silone non importa dell’educazione progressista o radicale, non gli importa di niente che non sia vivere, respirare, esistere, credere nell’esistenza degli altri. Si considera post risorgimentale, post marxista, post tanto altro, e per lui un frate è un essere umano come gli altri, perché il suo spirito ha trovato, sempre di più, la forza di liberarsi dalla paccottiglia e di liberare l’intelligenza segreta, l’unica cosa che conta: questo tenerci, questo credere, questo amare.