Appassionarsi alla paura così come all'amore
L’Amica geniale e quella smania di capire Lila e Elena
“Qualsiasi cosa succeda, tu continua a studiare”.
“Altri due anni: poi prendo la licenza e ho finito”.
“No, non finire mai: te li do io i soldi, devi studiare sempre”.
Feci un risolino nervoso, poi dissi: “Grazie, ma a un certo punto le scuole finiscono”.
“Non per te, tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti, maschi e femmine”.
Elena Ferrante. “L’amica geniale” (e/o)
La musica è la voce di uno scrittore, ed è anche ciò che lascia dentro chi legge: dopo molti anni di un libro non possiamo ricordarci ogni parola, ma di un grande libro ci ricordiamo, sempre, almeno l’atmosfera, il sentimento che provavamo leggendo, lo stupore e l’immedesimazione. E se torniamo a prendere in mano la copia di un romanzo che abbiamo amato, quasi sempre troviamo sottolineature, orecchie, punti esclamativi. Negli ultimi anni ho sentito questa musica leggendo i quattro libri di Elena Ferrante, L’amica geniale, li ho sottolineati e segnati e messo punti esclamativi e credo anche orecchie agli angoli delle pagine. Senza domandarmi mai chi fosse Elena Ferrante, solo con l’immenso piacere, e turbamento di leggere e di volerne ancora e di appassionarmi alla paura, alla brutalità, alla cattiveria, alla competizione fra donne. Ho provato godimento per l’intelligenza e per la sfrontatezza di Lila che dice: “Abbiamo fatto un patto da piccole. Quella cattiva sono io”, Lila bambina che viene lanciata fuori dalla finestra durante una lite con i genitori e Elena, la sua amica impaurita, la vede passare sulla testa e atterrare sull’asfalto alle sue spalle. La guarda esterrefatta, mentre il padre dalla finestra continua a insultarla, e lei fa una smorfia quasi divertita e intanto provava a rialzarsi. “Non mi sono fatta niente”, dice. Ma sanguina, si è spezzata un braccio. Ecco, quel primo libro di Elena Ferrante ha fatto tornare a galla il Dickens sommerso dentro di me, la voluttà nel girare le pagine, lo sbigottimento per un mondo che dovrebbe ripugnarci e che invece ci affascina, ci afferra, ci fa sentire il desiderio di vita e di riscatto. La storia è semplice: l’amicizia e la competizione fra due bambine, ragazze, donne, il loro movimento nella vita a partire da quel rione napoletano violento negli anni Cinquanta. Crescono, si amano e si odiano, si accendono il cervello, si specchiano l’una nell’altra. Un’amica geniale, e l’altra, Elena, che la ammira, la teme, segue, si mette sulla sua scia, la supera, ma torna sempre da lei, ha sempre in mente lei. La parola giusta non ha a che fare con il cervello ma con il corpo ed è: smania. Io avevo la smania di capire Lila, di capire Elena, mi sentivo sempre Elena, sempre sulla scia, sempre bisognosa di un trampolino interiore. Finché ho capito la grandezza di Elena Ferrante: consegnarci Lila sempre e soltanto attraverso lo sguardo di Elena. Ogni descrizione di bellezza, superiorità, intelligenza e ferocia di Lila arriva sempre e soltanto dalle parole di Elena. Non ci sono testimoni, Lila potrebbe perfino non esistere, o essere una rivale immaginaria, una donna che nella vita non è mai uscita dal rione e che ha scritto soltanto un romanzo di dieci pagine di fogli a quadretti alle elementari, La fata blu, che Elena ha usato per diventare una scrittrice. La cosa potente è il continuo movimento di Elena, il superamento assoluto di Lila, ma con un senso di debolezza, dipendenza, di imbroglio perfino, che la spinge ad andare sempre avanti. Adesso che e/o ha raccolto in un unico libro, in un’edizione completa e blu come la Fata blu i quattro libri che compongono L’amica geniale, posso provare a resistere, ma credo che alla fine sottolineerò anche questo.