Gioite, la Schadenfreude non è così ignobile come sembra
Sarà una cosa scema, ma vedere persone importanti compiere gli stessi nostri errori è un’occasione di “glorioso ammutinamento”. Siamo una banda di perdenti
I giapponesi hanno un detto: “La sfortuna degli altri è dolce come il miele”. I francesi parlano di joie maligne, un piacere diabolico ricavato dalla sofferenza altrui. I danesi la definiscono skadefryd e gli olandesi leedvermaak. In ebraico godere delle catastrofi che non ci riguardano si dice simcha la-ed, inmandarino xìng-zai-lè-huò; in serbo-croato si usa la parola zlùradost e in russo zloradstvo.
Tyffany Watt Smith, “Schadenfreude. La gioia per le disgrazie altrui” (UTET)
“Veder soffrire fa bene”, scriveva Nietzsche. “Cagionare sofferenza ancora meglio. E’ questa una dura sentenza, eppure un’antica, possente, umana – troppo umana sentenza”. Così i sorrisi provocati dalla Schadenfreude, il piacere per le disgrazie altrui, e quelli provocati dalla gioia sono indistinguibili, tranne che per un dettaglio fondamentale: sorridiamo di più per il fallimento dei nostri nemici che per un nostro successo. Non è una caratteristica solo tedesca: gli umani si affidano al fallimento altrui, scrive la storica culturale inglese Tyffany Watt Smith, già autrice dell’“Atlante delle emozioni umane”, molto utile e interessante perché ciascuno può trovarci l’inquietudine che non sapeva di provare. In questo nuovo libro Tiffany Ann Smith si dedica totalmente al godimento per gli sbagli e i fallimenti altrui perché, scrive, è nei difetti che si rivela gran parte di ciò che siamo e di ciò che ci rende umani. Così, anche se crediamo di provare un’altra parola tedesca, Fremdschamen, ossia imbarazzo e sofferenza per interposta persona, è più probabile che questo imbarazzo sia dovuto a un segreto indicibile piacere. “Quando vengo a sapere che alcuni camion, seguendo le dritte del navigatore, sono rimasti imbottigliati in qualche stradina di campagna”. “Quando il cane con il pelo sempre tirato a lucido del vicino perfettino si rotola nella cacca e salta sul sedile anteriore della macchina di famiglia”. Ci sono anche Schadenfreude peggiori, naturalmente, e bisogna andarci piano con l’esultanza per le bucce di banana su cui scivolano gli altri, ma secondo l’autrice di questo libro la Schadenfreude è soprattutto un piacere innocuo, che ci fa sentire meglio quando ci sentiamo inferiori, ed è un modo per celebrare il fatto che tutti falliscono, aiuta a prendere consapevolezza dell’assurdità della vita, può suscitare un impulso di ribellione o offrire l’autostima necessaria per buttarsi in avanti. Malevolenza utile, insomma, utile anche a capire perché ci procura tutta questa deliziosa soddisfazione. “Quando il presidente Trump è salito sull’Air Force One e la sua celeberrima architettura di ciuffi e riporti è stata smantellata dal vento”. “Quando Barack Obama ha cercato di convincere gli operai della Pennsylvania a votare per lui andando a giocare a bowling, e ha fatto finire diverse palle nel canale. Più tardi si è scusato perché la sua performance era degna delle Paralimpiadi. Più tardi, si è dovuto scusare di nuovo”.
E’ una cosa un po’ scema, in effetti, ma vedere capi, persone importanti, più importanti di noi, in una situazione di imbarazzo e anzi puniti per la loro superbia, ma anche esposti agli stessi errori che potrebbero capitare a tutti noi (fare un discorso pubblico con la cerniera dei pantaloni aperta, o una cena elegante con l’insalata fra i denti), è un’occasione di “glorioso ammutinamento”. In questi momenti ci troviamo di nuovo audaci, forse perché si fa strada in noi la consapevolezza che non siamo soli nelle nostre delusioni, ma facciamo tutti parte di una banda di perdenti. “La Schadenfreude può essere un difetto, nessuno discute su questo, ma ne abbiamo bisogno”, scrive Tiffany Watt Smith. Non sono certa di essere d’accordo sull’utilità di questo sentimento, e non ho nessun desiderio di guardare su internet video di figuracce di sconosciuti, ma certo la Schadenfreude esiste, e va addomesticata.