Le invenzioni occasionali di Elena Ferrante, che affondano nel presente e nella memoria

Annalena Benini

Un libro di pensieri, un laboratorio completamente nuovo per chi scrive romanzi e racconti con un tempo lungo di meditazione, approfondimento e riscrittura

Noi ancora oggi, dopo un secolo di femminismo, non riusciamo a essere noi fino in fondo, non ci apparteniamo. I nostri difetti, le nostre malvagità , i nostri crimini, le nostre qualità, il nostro piacere, la nostra stessa lingua si inscrivono obbedientemente nelle gerarchie del maschile, sono punite o lodate secondo codici che ci appartengono pochissimo e che perciò ci sfiancano. E’ una condizione in cui è facile diventare odiose agli altri e a se stesse. Manifestare ciò che siamo con uno sforzo di autonomia richiede una vigilanza crudele di noi stesse su noi stesse. Perciò io mi sento vicina a tutte le donne e ora per questo, ora per quello, mi riconosco nelle migliori come nelle peggiori. Possibile, mi dicono a volte, che non conosci nemmeno una stronza? Ne conosco, certo, ne è piena la letteratura e la vita di ogni giorno. Ma, tirate le somme, mi sento comunque dalla loro parte.

Elena Ferrante, “L’invenzione occasionale

(edizioni e/o, 18 euro)

 

Possibile che non conosci nemmeno una stronza? Impossibile, ma Elena Ferrante ha deciso di non dire mai male di una donna, in nome di questa fatica enorme, esasperante che ci accomuna nello stare in un mondo codificato secondo regole maschili. Questa riflessione l’avevo letta sul Guardian, nella rubrica che Elena Ferrante ha tenuto per un anno ogni settimana, nel 2018, illustrata da Andrea Ucini e tradotta da Ann Goldstein, e che adesso è diventata un libro di pensieri, un laboratorio completamente nuovo per chi scrive romanzi e racconti con un tempo lungo di meditazione, approfondimento e riscrittura. Sul Guardian per la prima volta Elena Ferrante si è esercitata ogni settimana: “Ogni volta calavo il secchio in fretta dentro qualche fondo scuro della mia testa, tiravo su una frase e aspettavo con apprensione che seguissero le altre”.

 

Il secchio dentro la testa richiama subito alla mente il secchio pieno di parole di cui parla Lila ne “L’amica geniale”, e anche dentro un modo nuovo di scrivere, che scava e intercetta la vita quotidiana, che racconta di sé, del sé letterario che Elena Ferrante ha scelto, fa capolino continuamente ciò che nei suoi romanzi ci perturba e ci attrae, ci sconvolge e ci incatena, come un fondo scuro in cui può accadere di tutto, in cui i sentimenti più quieti possono esplodere, e un racconto sulla gelosia, sul cinema, sulle coppie che durano, sulle madri, riesce sempre a far emergere un dolore anche violento, e la rivelazione di qualcosa che va a fondo, che colpisce il bersaglio. “Un cordone invisibile ci lega al corpo delle nostre madri, non c’è modo di staccarsi, o almeno io non ci sono riuscita. E’ impossibile tornare dentro di loro, è difficile spingersi oltre la loro ombra. (…) Smettere di amarla mi è sembrato l’unico modo che avevo per amare me stessa, anzi per avere una me stessa da amare”.

 

Ci sono memorie, immagini di vita quotidiana, riflessioni sul presente, sulla scrittura, sull’autobiografia, e c’è un racconto intitolato “Artefatti”, che mi ha spiegato molto bene quel che provo davanti a un attore che amo. Elena Ferrante parla, per comodità, di Daniel Day Lewis, ma potrebbe parlare di qualunque attore. Dichiara di amarlo. “Io lo amo non nella realtà ma nei film a cui ha partecipato. Io lo amo per come studiatamente lo investe la luce sul set, per la forza della vicenda dentro cui il suo corpo si muove, per l’intelligenza delle battute che qualcuno ha scritto e che lui recita, per l’arte della truccatrice, per i costumi che qua e là ha indossato, per l’efficacia degli uffici stampa etc. Da tempo infatti ho smesso di pensare alle star come a esseri umani realmente esistenti”. Daniel Day Lewis non è un uomo, ma è un’opera (dello sceneggiatore, del romanziere, del regista eccetera), e come tale va amato, come un frutto dell’immaginazione. Forse anche per i libri è lo stesso: gli scrittori sono esseri umani, certo, ma sono soprattutto, mentre scrivono, l’opera della loro immaginazione. Anche per questo non importa chi sono, e non importa se inventano oppure no. Importa solo quanta verità riescono a catturare, e restituire.

  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.