Il più grande segreto che una donna nasconde a se stessa. Volere o non volere un figlio
Maternità di Sheila Heti è appassionante, sofisticato, spudorato, non semplifica ma rende tutto più complesso
Si dice spesso che avere o meno dei figli è la decisione più grande che uno possa prendere. Sarà anche vero, ma al tempo stesso non significa nulla. Le decisioni avvengono nell’intimo della mente. Non sono azioni. Perché in una vita succedano delle cose, bisogna che partecipino altre persone. Bisogna volerlo. Tutta una serie di cose devono funzionare insieme. La vita stessa deve volerlo. Una decisione mentale è ben poca cosa. Non basta a far nascere i bambini. Se non è una decisione mentale a far nascere i bambini, perché passo così tanto tempo a pensarci?
Sheila Heti, “Maternità”
(Sellerio, 290 pagine, 16 euro)
Sua madre le dice spesso: tu sei libera. Ed è vero. Ha trentasette anni, è una scrittrice, è innamorata di un uomo a cui si sente vicina anche con il corpo, vive in un appartamento pieno di libri, può fare quello che vuole. Questa libertà se l’è conquistata a forza di desideri e ostinazione, e anche fortuna: la fortuna di non dover chiedere permesso a nessuno. Non più. E allora perché piange, che cos’è quest’ansia, questo sentirsi uno schifo, questo chiedersi in continuazione cos’è che voglio e cos’è che gli altri vogliono da me? La protagonista di questo romanzo, saggio intimo, autobiografia, riflessione esistenziale, si chiede perché, si guarda dentro il suo specchio interiore, vive e intanto si chiede: voglio un figlio?, e anche: il mio tempo è scaduto? “Voglio forse dei figli perché desidero essere ammirata come il tipo di donna ammirevole che ha dei figli?”. Questa domanda ne contiene tantissime altre, ma offre la misura di un libro che alza l’asticella della sincerità, in cui la voce narrante è riconducibile all’autrice per età e per condizioni, e la risposta alla domanda è: non voglio un figlio. Ma non è così semplice.
Nonostante la libertà, la modernità, la pienezza, nonostante un uomo accanto che non insiste e non desidera un figlio (ne ha già una, dalla precedente compagna). “Forse mi sento tradita dalla donna dentro di me che non trova il coraggio di fare questa cosa. O forse mi sento tradita da mia madre, per non essersi dedicata completamente a me e non aver creato quella serie di ricordi pieni d’amore che vanno creati in una figlia affinché abbia voglia di ripetere il processo da capo. O forse è una parte di me ancora più profonda: il mio eterno desiderio di lasciare la famiglia e non fare mai parte di un’altra”. Speculazioni filosofiche, ironia, ciclo mestruale e conseguente sentirsi uno schifo, sogni e lancio delle monete per rispondere a domande spesso cruciali, “Stasera devo chiedergli scusa? Sì”, per non nascondere niente delle contraddizioni e delle profondità anche pazze dell’anima e del corpo di una donna al centro di sé, che si chiede se ha costruito abbastanza e riflette sull’ingiustizia genetica che impone a una donna di compiere tutte le cose importanti della sua vita in un arco di tempo di trent’anni, mentre gli uomini si muovono in uno spazio quasi senza tempo, e non devono lanciare i dadi. I loro desideri sono più quieti, perché non hanno dovuto guadagnarseli, e soprattutto perché non hanno fretta.
Maternità è appassionante, sofisticato, spudorato, non semplifica ma rende tutto più complesso: non è mai solo la carriera, non è mai solo il senso del dovere, non è mai solo quello che si aspetta la società da una donna. E’ il corpo a corpo di una donna con se stessa, la debolezza, l’egoismo, la paura, la gelosia, il sospetto, l’invecchiare, e lo sguardo sempre rivolto a sua madre, e alla nonna che sopravvisse ai campi di sterminio e morì di cancro a cinquant’anni. E’ un richiamo continuo all’intimità e all’universalità. Ogni storia è diversa, ogni non desiderio è la somma di molti desideri e tormenti. Il senso di colpa esiste. Guardarsi allo specchio con questa spietatezza non è facile, non lo è nemmeno non trovare una via d’uscita. Leggere questo libro complica le cose, quindi le arricchisce.