Trovare un'immensità guardando gli esseri umani mentre fanno cose normalissime
Sette atti comici scritti per il teatro, ma che sono racconti, monologhi interiori, creazioni di personaggi in cui riconosceremo qualche angolo di noi
Mio marito mi chiama per dirmi una cosa che purtroppo di colpo non ricorda e mi sente respirare con l’affanno e mi chiede: “Che hai, che ti prende”. “Niente” dico io, e lui: “Hai il ciclo?”. “Aaaaahhh!! Cosa diciiiii????!” e lui terrorizzato dice di stare calma, che è tutto ok, e lo dice col tono del negoziatore dell’FBI che col megafono si rivolge al matto in canotta che ha dieci ostaggi in un ferramenta.
Mattia Torre, “In mezzo al mare, sette atti comici” (Mondadori)
Mattia Torre ha la capacità di guardare gli esseri umani mentre fanno cose normalissime, cucinano, comprano i fiori, vendono automobili, tornano a casa dai figli, vanno al pranzo di Natale, si sentono tristi, e dentro queste azioni e questi pensieri lui trova e inventa un’immensità. Costruisce una lingua, ci mostra chi siamo portandoci all’estremo della comicità. Questi sette atti comici sono stati scritti per il teatro, ma sono racconti, monologhi interiori, creazioni di personaggi in cui riconosceremo qualche angolo di noi. Anche il carcerato che nell’ora d’aria sogna la Maserati, e la modella franco-israeliana con una spiccata sensibilità per la questione palestinese, anche lui ha qualcosa di nostro, qualcosa che ci respinge, ci diverte, al tempo stesso ci commuove perché non si può risolvere, e perché fa parte di questo continuo slancio verso la speranza, con qualunque mezzo e con qualunque risultato. Mattia Torre coglie la speranza, il cinismo, la cialtroneria, la tendenza a dare sempre la colpa a qualcun altro, coglie soprattutto l’ossessione, e ce la restituisce in modo da farci ridere, ma ridere con un brivido lungo la schiena, con un po’ di paura e poi con il sollievo di una specie di compassione. Nessun personaggio è mai totalmente negativo, nessun’eroina (la protagonista del monologo “Perfetta”) è mai totalmente positiva, e tutti sono sull’orlo di un’ordinaria follia che ci rivela, a ogni atto, qualcosa di verissimo, e una spada nel cuore.
“Che pure noi sul cibo avremmo tutta una secolare tradizione di generosità, di umana condivisione e partecipazione, che proprio in molte famiglie anche dopo cena ti continuano a offrire da mangiare e tu sei sazio e rispettosamente dici ‘no grazie’ e loro si preoccupano ‘che fai non mangi più?’ ‘sono a posto così, grazie’ ‘ma stai male?’ ‘no, non sto male’ ‘e allora perché non mangi?’ e insistono ‘che hai? Dai mangia è buono, sei sicuro di non stare male?’ e tu allora provi a dire ‘sì, sto un po’ male, scusatemi’ e loro senza pietà ‘stai un po’ male?’ ‘sì’ ‘allora mangia’ e non se ne esce, e tu proprio non capisci cosa vogliono da te e a un certo punto capisci che si mette male e ti defili e nel frattempo si sono mortalmente offesi e ti implorano ‘almeno questa frutta portatela a casa’ ma tu hai la nausea e non la vuoi quella frutta e scendi dalle scale con questi che ti rincorrono tirandoti le arance e urlandotene la provenienza ‘sono le arance di giù pezzo di merda’ e tu scappi e anche quando sei fuori dal portone ormai salvo uno di loro dalla finestra ti urla gratuito ’a stronzo, che quando rientra è fuori di sé e sfonda casa a cazzotti”. Questo è “Gola” e racconta che a noi il cibo non ce lo devono toccare, e che del G8 con i potenti della terra conosciamo sempre e soltanto il menu. Mattia Torre, drammaturgo, sceneggiatore, regista, è uno scrittore e usa le parole in un modo insieme affilato e dolce, perché la complessità non può essere soltanto crudele. Non ci sono solo le ombre, ma anche all’improvviso una luce che squarcia tutto e che fa dire al padre murato in casa da una congiuntivite, e senza più forze, e senza più sonno, e senza certezze: “D’altra parte, il tuo cuore non è mai stato così grande”.