Lettere rubate
Bret Easton Ellis ripercorre la vita e il mondo in otto saggi (e con nostalgia per l'età eroica)
In questi saggi divisi in otto capitoli troverete molte critiche, molti ricordi, molti giudizi spietati e molte analisi precise sulla direzione che sta prendendo il pensiero del mondo
Il mio dottore era stato informato dell’attacco epilettico e voleva sottopormi a qualche test perché a lui non sembrava il tipo di episodio causato da una lieve dipendenza dalle benzodiazepine unita alla disidratazione e all’alcol. Io continuai a promettergli di farmi vedere ma la paura che mi trovasse qualcosa impedì ai test di essere effettuati, e così continuò un’estate in cui fui incapace di concentrarmi sul romanzo a cui stavo lavorando e il numero di ragazzi con cui mi divertivo sembrava sconcertante dato che non ero mai stato promiscuo, e poi c’era la cocaina, e l’insonnia, che non aveva nulla a che fare con la cocaina. E poi ci fu lo stalker che a un certo punto irruppe anche lui nella narrazione di quell’estate.
Bret Easton Ellis, “Bianco” (Einaudi, traduz. di Giuseppe Culicchia)
Bret Easton Ellis sta raccontando la sua disordinata estate del 2001, conclusa con l’11 settembre, giorno in cui si era alzato presto per andare dal dottore, perché infine si era sottoposto ai check-up necessari. Non sei davvero autodistruttivo se vai a farti un check-up alle otto e trenta del mattino. Non sei davvero autodistruttivo se la sera prima te ne vai presto da una festa con lo scrittore Jonathan Lethem perché hai questo appuntamento dal medico e devi dormire. E’ così interessante l’autobiografia quando si unisce all’analisi sociale, alla satira perfino, ma usando se stesso come campo di battaglia, come esempio di contraddizioni e caos.
E’ così bello leggere un grande scrittore, l’immenso scrittore di American Psyco e Meno di zero, che critica, provoca e diverte e individua i momenti in cui il mondo è cambiato, e fa i nomi, indica i luoghi, i libri, e a volte si lascia perfino prendere dalla nostalgia per la propria età eroica, ma poi si rianima ed ecco: “Questo è il mondo in cui viviamo ora”, è la voce dentro la testa la sera dell’undici settembre, mentre si aggira in confusione totale per l’East Village, mangia qualcosa in un take-away thailandese e vede due ragazze che ridono ubriache, “un suono che non ho mai dimenticato perché sembrava quasi come un piccolo atto di sfida, una reazione, anche se non lo era”. E Bret Easton Ellis fu sinceramente sollevato di sentirlo, e fu sollevato di sentire dentro di sé una nuova ambizione: “Volevo scrivere come non avevo mai scritto prima, e come ammetto di non aver più fatto dopo”. Non voleva più lamentarsi, non voleva più avere paura, e si commuoveva nel riprendere a leggere (“Le correzioni”, di Jonathan Franzen, che era uscito in libreria da pochi giorni). Come il condannato a morte di Dostoevskij che viene graziato a pochi secondi dall’esecuzione e promette che cambierà, che non sprecherà mai nemmeno un minuto della sua esistenza: poi invece non può essere così, non è mai così. E infatti Bret Easton Ellis si è messo perfino a twittare, a intervenire, ad attaccare, a esprimere opinioni, e a lamentarsi degli attacchi sui suoi tweet e a riflettere sulla celebrità (la celebrità è un gioco del tutto diverso dall’essere uno scrittore). E come sempre, uno scrittore si salva con la scrittura. “Usai twitter per trovare i fondi per il microbudget di un film che avevo scritto, oltre che per trovare il suo protagonista maschile, e una volta, per sbaglio – ero ubriaco – per ordinare droga. Pensavo di stare mandando un sms”. In questi saggi divisi in otto capitoli troverete molte critiche, molti ricordi, molti giudizi spietati e molte analisi precise sulla direzione che sta prendendo il pensiero del mondo. E un’incrollabile, semplice convinzione: “I sentimenti non sono fatti e le opinioni non sono crimini e le scelte estetiche contano ancora – e la ragione per cui sono uno scrittore è per esporre un’estetica”.