La lotteria di Shirley Jackson è diventata la spaventosissima graphic novel di famiglia
E’ il racconto per il quale sono state scritte più lettere nella storia del New Yorker. L’autrice ha continuato a riceverle per tutta la vita. Oggi torna illustrato magnificamente da suo nipote, Miles Hyman
“L’ho letto mentre facevo il bagno… e sono stata tentata dall’idea di mettere la testa sott’acqua e farla finita”.
Camilla Ballou, lettrice, 1948 lettera al New Yorker su “La Lotteria” di Shirley Jackson
E’ il racconto per il quale sono state scritte più lettere nella storia del New Yorker. Shirley Jackson, l’autrice, ha continuato a riceverle per tutta la vita. Lettere indignate, lettere di protesta, proposte di matrimonio, minacce, interpretazioni politiche, e richieste di informazioni sul paese del New England in cui ogni anno, il 27 giugno, si svolge la lotteria. Per buona parte del racconto, sembra una cosa allegra. Una festa di paese per propiziare il raccolto. “La mattina del 27 giugno era limpida e assolata, con un bel caldo da piena estate; i fiori sbocciavano a profusione e l’erba era di un verde smagliante. La gente del paese cominciò a radunarsi in piazza, tra l’ufficio postale e la banca, verso le dieci. In certe città, dato il gran numero di abitanti, la lotteria durava due giorni e bisognava iniziarla il 26 giugno; ma in questo paese, di sole trecento anime all’incirca, bastavano meno di due ore, sicché si poteva cominciare alle dieci del mattino e finire in tempo perché i paesani fossero a casa per il pranzo di mezzogiorno. I primi ad arrivare furono naturalmente i bambini”.
Shirley Jackson ha scritto di avere avuto l’ispirazione per questo racconto terrificante mentre andava a fare la spesa con suo figlio in carrozzina – ne ha avuti quattro – e osservava le facce dei vicini di casa. Shirley Jackson ha immaginato e raccontato la normalità dell’orrore, dell’aggressività, della violenza: l’umanità è questo, e l’umanità accetta di uccidere a pietrate ogni anno la persona sorteggiata nella lotteria: in tempo per il pranzo di mezzogiorno. “I primi ad arrivare furono naturalmente i bambini”, ma in questa graphic novel pubblicata da Adelphi e illustrata magnificamente da Miles Hyman, nipote di Shirley Jackson e importante disegnatore, anche le facce dei bambini sono spaventose. La brutalità, l’indifferenza, la paura, il sollievo di non essere stati estratti, la concentrazione sul dovere da svolgere, e la calma quando è tutto finito.
“Ho saputo”, disse mr Adams al vecchio Warner accanto a lui “che nel villaggio su a nord parlano di lasciar perdere la lotteria”. Il vecchio Warner sbuffò. “Pazzi scatenati”, disse. “Se stai a sentire i giovani, non gli va bene niente. Manca poco che vorranno tornare a vivere nelle caverne, nessuno più che lavora, e prova a vivere così per un po’”.
Miles Hyman ha scritto nella prefazione a questo libro che ha un ricordo nitido di sua nonna, seduta da sola su una sedia o su uno sgabello della cucina. Era il suo momento, con un bicchiere di bourbon in mano, il momento in cui gli oggetti della casa si animavano e le storie si muovevano dentro la testa. “Mi diletto di ciò che temo”, ha detto Shirley Jackson, che vedeva tutto attraverso una sottile nebbia di parole, e che scriveva sempre, e vedeva il lato spaventoso insieme a quello ironico, e viceversa, in tutte le cose della vita (soprattutto della vita di una donna). “Mi mantengono attiva, le mie storie. Forse quella sul cesto della biancheria non la scriverò mai, anzi, sono quasi certa che non la scriverò, ma finché so che lì c’è una storia posso andare avanti a separare i bianchi dai colorati”.