Una donna nera italiana, il racconto di un dolore e il desiderio di non liberarsene mai del tutto
Espérance, la cura delle parole e delle storie. E un elenco di domande frutto delle migliori intenzioni, e di una superficialità che crediamo di poterci permettere
Sono nata a settembre nel 1991, in Ruanda. Da una madre e da un padre come tutti e dalle coincidenze spaziali e maledette che non mi hanno permesso di crescerci, né con i miei genitori né nel mio paese. All’età di tre anni, quando già mi trovavo in un orfanotrofio gestito da un’associazione italiana, su tutto il territorio ruandese è scoppiato il genocidio. Il più efferato del XX secolo.
Espérance Hakuzwimana Ripanti, “E poi basta, manifesto di una donna nera italiana” (People editore)
Ho conosciuto Espérance attraverso Instagram, mi piaceva quello che scriveva sui libri e sul mondo, e sono andata a Torino a incontrarla, per il Foglio. Abbiamo parlato per un pomeriggio intero nella hall di un vecchio hotel di Torino accanto alla stazione, e adesso che ho questo libro tra le mani ritrovo tutta la forza di una giovane scrittrice che non vuole più fare da cavia, non vuole più sentirsi un animale da palcoscenico in un paese in cui le persone continuano a chiederle: sì, ma di dove sei veramente? L’Africa, i genitori, l’orfanotrofio, l’aereo, la fuga, Brescia. Tanti pezzi di storia per rassicurare chi la guarda, chi si chiede perché “sembra” uguale a loro, a noi, chi vuole toccarle i capelli o anche chi le urla porcate alla fermata dell’autobus. A un certo punto in questo libro così pieno di vita e di rabbia costruttiva, rabbia fiduciosa, Espérance H. Ripanti fa un elenco di domande ricorrenti. Io le riporto perché queste sono spesso le domande frutto delle migliori intenzioni, e di una superficialità che crediamo di poterci permettere.
«Se un uomo di cinquant'anni mi vede alla fermata del bus e mi scambia per una prostituta, quando invece vorrei solo andarmene a casa a leggere un libro, significa che in questo paese c'è un problema». @vitadistendhal a #LAssedio di @dariabig pic.twitter.com/yrs1EqyU6Q
— L'Assedio (@lassedio) November 6, 2019
Raccontaci la tua vita. Come sei riuscita a fare l’università? Conosci la storia del tuo paese? Sì, italiana d’adozione però. Siete così bravi, voi, a imparare in fretta le lingue. Com’è stato essere africani in una famiglia italiana? Che brava ragazza che sei diventata. Resterai in Italia o tornerai a casa? Come sei riuscita a integrarti bene. L’Italia è il tuo paese? E’ uscito un documentario sul Ruanda, ti va di presentarlo? Dev’essere stato difficile crescere in provincia di Brescia. Hai sentito quello che è successo in Nigeria? Cosa ne pensi? Hai subìto del razzismo? Conosci qualcuno che ha subìto episodi di razzismo? Ci racconti del razzismo? Secondo te l’immigrazione è una cosa buona? Però che bravi i tuoi genitori ad accoglierti, così piccola. Cosa votate voi? Ti va di raccontarci come ti senti in questo periodo? Ti senti diversa, e in cosa ti senti diversa? Sei mai tornata in Africa? Perché non sei tornata in Africa? Farai vivere qui i tuoi figli? Ti senti più africana o italiana?
Questo è il manifesto di una donna nera italiana, ma non solo: è il racconto di un dolore, e anche del desiderio di non liberarsene mai del tutto. Espérance ha affrontato un viaggio, e con fiducia e rabbia ce lo affida attraverso questo libro, e attraverso la cura delle parole e delle storie. “Vivere l’Africa non è facile. Soprattutto se sei una ragazza di vent’anni, cresciuta nella pianura padana, completamente estranea alle tue origini e con alle spalle anni di resistenza. Se resistere all’Africa è stata una scelta, una possibilità, essere africana (in parte, a metà, di origine, grazie a una discendenza e tutte le altre possibilità che la vita mi ha donato e tolto) non lo è stato. E proprio nello spazio mancante che questa realtà mi ha lasciato, uno spazio che non esiste, lì ho scagliato le mie domande”. Sono domande per noi, ci interrogano, e leggere questo libro è una grande occasione per cominciare a rispondere.