I racconti di Nadia Terranova avvolgono Roma di intima malinconia
Dieci piccoli dolori che affondano con precisione la lama dentro i giorni diventati palude, dentro quella sensazione di estraneità a se stessi
In un settembre esageratamente triste mi ero messa in testa di studiare due cose: l’ebraico e le persone felici. Ero certa di non esserlo mai stata e se invece sì, allora non ero in grado di accorgermene.
Nadia Terranova, “Come una storia d’amore” (Giulio Perrone editore)
Chi sono i morti e chi sono i vivi, dentro una città indifferente a tutto, abituata a tutti, ai buchi neri come ai trionfi? La città è Roma, protagonista e antagonista di questi dieci laceranti racconti di Nadia Terranova in uscita per Giulio Perrone: li trovate in libreria dal 14 maggio, e una volta a casa, leggendoli, penserete a quel momento della vostra vita in cui non era proprio vostra, la vita. Correva negli occhi degli altri, nelle case degli altri, nei tumulti degli altri, ma nella vostra non c’era più, si era fermata, si era “incagliata in una zona morta”.
Succede in ogni città del mondo, succede anche a Roma, con la luce che c’è. “Mi affaccio in balcone senza mettere le pantofole: la luce di Roma è una stronza, è colpa sua per ogni cosa che mi è successa. E’ sicuramente così: colpa di quella luce disperata che tiene in ostaggio le persone per un momento, quindi per sempre”, scrive Terranova nel racconto “La lavanderia sbagliata”.
Quanti sono gli sbagli, ma soprattutto: esistono? O fanno parte del modo in cui li guardiamo, della luce che abbiamo negli occhi in quel momento, in quegli anni, in quella vita? I racconti di Nadia Terranova affondano con precisione la lama dentro i giorni diventati palude, dentro quella sensazione di estraneità a se stessi, quando si aspetta un via libera per cambiare tutto, ma senza il coraggio di muoversi. “Penso che prima o poi questa città me la toglierò di dosso con un coltello e sanguinante mi metterò sulla strada del ritorno a casa, ammesso che mi ricordi quale sia”. Prima o poi. Ma intanto c’è una donna dentro un bar proprio al centro del mondo, e sta rubando un’ora di libertà tra il pomeriggio e la sera della Vigilia di Natale, prima che il bar chiuda. E c’è un’altra donna inginocchiata davanti al forno per controllare l’orata. E un’altra che entra nella lavanderia sbagliata. E una che ha l’ossessione di controllare una perfetta sconosciuta su Facebook: un giorno, dopo aver controllato, si alza di scatto e butta la sedia a terra. Una donna crede di vedere il suo ex marito dalla finestra. E un’altra rincorre la felicità che le spetta sui banchi di scuola, al Ghetto. Due sorelle schiena contro schiena nella gramigna di una pensilina a Porta Maggiore.
La vita è anche qui, nella trattoria dove a lei sembra di aver sentito i corvi, in via Giolitti nell’odore di fritto americano e pipì, quando è cominciata la storia d’amore con Roma. La delusione fa parte dell’amore, la delusione fa parte della vita. E le donne sono le protagoniste di questi disamori di Nadia Terranova, sono più brave a interrogarsi sul dolore, e poi, dice una ragazza di questi racconti, a chi importa degli uomini? Il mondo è delle donne. Il punto di vista, lo sguardo, è delle donne. I segreti sono delle donne. “Voler bene alle mie cose posso farlo, ma voler bene alla mia vita, quello proprio non riesco. Ma la mia vita, ora, è tra parentesi”.
Ecco, dentro queste parentesi che tengono in ostaggio la vita, un’altra vita, chissà poi quale vita, c’è molta vita: e infatti c’è anche la morte che fa scomparire le persone all’improvviso, le strappa dalle parentesi oppure dall’amore, trasforma le parentesi di chi resta. Al Pigneto, a Porta Maggiore, nel centro di Roma, nel centro del mondo. Il centro del mondo è dove sono le nostre parentesi, i nostri momenti stanchi, il disamore che però non è mai abbastanza senza amore per dire: vado via. Diventare adulti, senza diventarlo mai. A Roma è possibile.