Gina Berriault e le donne con molte ombre dentro il cuore
Se fosse stata un uomo la scrittrice americana avrebbe vinto molti più premi
Sai che cosa penso di un uomo che mette una donna su un taxi? Non mi interessa se l’accompagna fino al marciapiede o è a un miglio di distanza. Un uomo che infila una donna in un taxi, si gira e se ne va dall’altra parte non ha la minima idea di che cosa succederà a quella donna. Non lo sa e non gliene importa. Ecco che cosa penso di un uomo che ti chiama un taxi.
Gina Berriault, “Il figlio” (Mattioli1885)
Richard Yates, Andre Dubus, Richard Ford hanno scritto che Gina Berriault è una grande scrittrice, troppo poco riconosciuta. Se fosse stata un uomo avrebbe vinto molti più premi, l’avrebbero invitata a molte più cene noiosissime, sarebbe stata di certo più ricca. Non le importava, e del resto Gina Berriault ha scritto solo quattro romanzi e molti racconti e sceneggiature. Ha detto che la vita ti assorbe, e non sempre si riesce a scrivere, non sempre si riesce a trovare sufficientemente bello quello che si è scritto e a non bruciarlo. E’ morta vent’anni fa, comunque premiata e celebrata per questo sguardo disturbante sulle donne, di buona o cattiva società non importa, sui loro desideri non sempre saggi e sulle scelte dissennate e spesso umilianti. Si può impazzire per amore, cioè per vanità, perché quella modalità di esistenza: io ti guardo, tu mi desideri, io ti dico sì, è l’unica che si conosce? Vivian è nata in una famiglia benestante degli anni Quaranta, e tutto ciò che conosce è la possibilità di dominio data dall’unione con un uomo. Vivian è molto desiderata, ma anche molto abbandonata, e soprattutto è preda dei suoi desideri. Non ha molto altro, ma ha l’amore per suo figlio, un amore infantile e capriccioso con cui arriverà in un punto estremo di infelicità e distruzione.
Vorremmo provare simpatia per Vivian, per la sua ossessione e per la sua solitudine, ma c’è in lei qualcosa di guasto e di respingente, per quanto è brava Gina Berriault a dipingerla: c’è l’incapacità, anche quando si dedica completamente, fino a trascurare del tutto se stessa, di fare del bene a qualcuno: un uomo, un figlio, un vecchio malato. Vivian vuole dominare, anche quando crede di annullarsi, anche quando si getta ai piedi di un uomo. Vuole dominare con la bellezza, con la giovinezza e poi con i resti della sua sensualità. Non c’è molto altro nel suo cuore: “Se adesso, alla fine di una relazione, dubitava di averlo amato, se la sua vita era stata spesa nel tentativo di compiacere qualche uomo, se la sua vita era stata spesa nel bisogno che lui avesse bisogno di lei, forse allora l’amore non era altro che disperazione fatta passare per amore?”. Vivian incontra molti uomini, e sembra essere solo quello il suo orizzonte, e allora viene voglia di dirle dai, sei davvero così sciocca che non trovi nient’altro da fare?, ma poi ecco, grazie alla scrittura, arrivare la pietà. E’ un destino storto, e perché mai i destini dovrebbero essere luminosi? Perché tutte le donne dovrebbero essere grandiose? Vivian è piccola almeno quanto gli uomini che incontra, almeno quanto sua madre che la invita ad andare dal parrucchiere per farsi una bella piega e rendersi di nuovo desiderabile. Ma il figlio, che sembra essere al centro di tutto, è invece spinto alla periferia dolorosa di un mondo che conosce solo la seduzione e l’abbandono.
In “Donne nei loro letti”, pubblicato l’anno scorso sempre da Mattioli1885, c’è una madre che esce di notte per andare a cercare un uomo che non la vuole. E lascia a casa solo un bambino di sette anni che la guarda spaventato. Lei gli dice: sei abbastanza grande per poter stare senza di me. Se non sarò tornata quando ti svegli, non tornerò più. I bambini crescono nel terrore, e poi nell’odio, e Gina Berriault non nasconde nulla di questo infinito sbagliare e sbagliare, e non imparare mai.