lettere rubate
Il nuovo romanzo di Valeria Parrella è il filo che ci lega e ci libera
La scrittrice ha preso un viaggio, quattro amiche, ha preso il mare aperto e ne ha fatto un libro e un amuleto
Quello che voglio dire è che noi eravamo quattro amiche, alla soglia di quel viaggio, ma in realtà con noi c’erano moltissime altre donne: un’intera comunità che principiava dalle nostre madri e dalle madri delle nostre madri.
Valeria Parrella, “Quel tipo di donna”
(HarperCollins)
Ogni donna è almeno tre donne: lei, sua madre e la madre di sua madre. La definizione è di uno psicanalista inglese, un uomo, Donald Winnicot, e adesso, in età adulta, se ci concentriamo possiamo vederlo, questo filo che ci lega, questo filo che ci libera.
Valeria Parrella, che durante il lockdown non ha voluto scrivere del lockdown e delle porte chiuse, ha preso un viaggio, quattro amiche, ha preso il mare aperto e ne ha fatto il romanzo del filo che ci lega e che ci libera. La sorellanza, ma anche la maternità dello stare al mondo unite le une alle altre. La capacità di tenere insieme la tragedia e l’allegria, che è anche questa espressione di libertà, e che Grace Paley ha sempre avuto presente nei suoi racconti sulle donne. Si piange, si perde, ma si mangiano le ciambelle. A Napoli si beve un bicchiere, tre bicchieri, di vino bianco freddo su una terrazza che la sera restituisce tutto il sole assorbito di giorno. Si soffre implacabilmente, e certo per sempre, ma si guarda anche il culo dello stuart sull’aereo. C’è un dolore dentro questo libro che non si può in nessun modo superare, cancellare: l’unica possibilità è metterselo accanto, viaggiare insieme a questo dolore, sedersi con lui vicino, e intanto continuare a sentirsi parte della comunità dei viventi. Si può superare da soli il punto preciso in cui la vita sembra intollerabile? La risposta è no, e in questo romanzo la risposta si fa carne e cielo, ma anche cazzeggio, scarpe imprestate, stanze affittate, cozze staccate dallo scoglio e mangiate senza pensare all’epatite e la decisione di partire insieme, chiedendo tutte un favore a qualcuno. Quattro donne in solitudine, ma che significa, adesso la solitudine?
“C’erano due gemelli che facevano qualunque cosa senza mai pensare alle conseguenze, e due capricorno che contavano esattamente quanti passi ci dividevano dagli eventi e cercavano di pensare a ogni espediente per farvi fronte. E così via per tutto il viaggio, per tutta la vita. Noi abbiamo salvato le gemelli dai casini, loro ci hanno salvato dalla noia”.
Ci si salva a vicenda e ci si dà forza a vicenda, ci si regala a vicenda la possibilità di perdersi, per poi ritrovarsi all’uscita.
Questo libro diventa un amuleto contro la tentazione di un lockdown interiore. E la celebrazione della comunità delle amiche, e delle loro madri, e le madri delle madri, e dell’insegnante di Matematica che ha portato le sue studentesse all’apertura della Upim di Crotone, perché non avevano mai visto un grande magazzino, e poi le ha portate al mare, perché non c’erano mai state, e ha spiegato come si fa la ceretta, e come si usano le pinzette per le sopracciglia, ed è andata a bussare casa per casa per chiedere ai genitori il permesso per le gite, ma senza il pernottamento. Oggi quelle ragazze che a Taormina si sono incantante davanti alle scale mobili sono tutte laureate. Oggi quattro donne in viaggio da sole in Turchia durante il Ramadan possono riposarsi nel mondo diviso dagli uomini, attraversandolo solo con donne, “senza nessuno da rincorrere o da aspettare”. Riposarsi dalla fatica delle generazioni che ci hanno preceduto e preparare le forze per quelle a venire. Riposarsi dall’immensa fatica di oggi, ma con il senso della tragedia che va a braccetto con il senso dell’allegria, e di tutti i brindisi che arrivano alla fine del Ramadan. In esergo a “Quel tipo di donna” c’è una frase di Luisa Muraro, da una conversazione privata con Valeria Parrella. “Stringiti alla comunità delle donne, perché quando sarai vecchia saranno loro che ti salveranno: non i maschi”. Non i maschi, lo sappiamo. Ci dispiacerà, ma siamo forti abbastanza, allegre abbastanza, e anche legate abbastanza da quel filo che ci unisce e che ci libera. Stringere dunque questo amuleto, questa lettera che ci riguarda, e poi di nuovo andare.