Lettere rubate
Grandi opere d'arte
La vita avventurosa, e non più invisibile, delle protagoniste dei quadri. Un libro che è una miniera di diamanti
“Vivere con una donna è come vivere con due o tre tigri”.
Edward Hopper, in "Le muse nascoste"
di Lauretta Colonnelli (Giunti)
Questo libro è una miniera di diamanti. Per chi almeno una volta nella vita si è fermato davanti a un quadro importante, davanti a Medusa del Bernini ai Musei capitolini o in fotografia, davanti a una delle ragazze sole di Edward Hopper, davanti a una bambina di Balthus, o a un ritratto di Matisse, o alla famosissima e misteriosa Nana del Mantegna, e ha fantasticato: chissà chi è lei, chissà se esiste, chissà che vita ha avuto, chissà se l’ha saputo, di essere lì dentro per sempre, di avere reso eterno quell’uomo. Chissà se ne è stata felice.
Lauretta Colonnelli, giornalista culturale e autrice di molti saggi sull’arte, ha indagato, ricostruito, scoperto l’identità delle donne che ci guardano dai quadri, ha raccontato il motivo drammatico dei famosi ritratti che Matisse fece di sua figlia Marguerite, sempre con un collarino nero al collo che serviva a nascondere qualcosa, e ha mostrato l’importanza che queste storie, e queste donne, hanno avuto nell’arte dei loro padri, mariti, compagni, amanti. A volte erano sorelle, madri, altre soltanto modelle, o ossessioni, e anche una bambina può diventare una modella e un’ossessione.
Lucrezia Buti era una monaca ventenne, modella del frate pittore Filippo Lippi per Madonne e sante (la meravigliosa e malinconica Madonna col Bambino e due angeli), e per la Salomè che danza sulle pareti del duomo di Prato. Lui la rapì dal convento ma non volle mai sposarla, ebbero due figli. Lauretta Colonnelli ha restituito vita, sentimenti e identità, anche rabbia e frustrazioni, a queste donne rese eternamente famose e mute. E al turbamento, anche alla paura delle bambine in fiore ritratte da John Everett Millais: i genitori non sembravano preoccuparsi della fascinazione e dell’ossessione erotica di questi uomini adulti per la nudità di bambine di pochi anni.
Adesso, guardando i quadri, conosciamo meglio l’attimo in cui l’innocenza è stata sacrificata, e possiamo perfino sentire i loro pensieri, la loro impossibilità di dire: no. Abbiamo il dipinto, abbiamo la storia, abbiamo il mondo interiore: quel quadro adesso è molto più di un quadro, e soprattutto è molto più dell’artista che l’ha dipinto. Di Josephine Hopper, sua moglie, Edward dipinse un solo ritratto, nel 1936, di profilo, con il braccio sollevato: Jo che dipinge. Jo era una pittrice. Ma nel ritratto il suo dipinto non compare, lui le negò quell’atto anche nella vita e lei, rabbiosamente, ma fedelmente, gli fece da modella molte volte, anche in età avanzata, camminando avanti e indietro nuda sui tacchi alti nello studio.
Jo definiva suo marito “sadico”, e spesso, racconta nei diari, venivano alle mani. “Non vuole che io abbia nessuna scintilla, nessun impulso o come diavolo si chiama; sempre debole, immatura, insignificante”. Lei, che era più istruita, più colta, più determinata, si annullò per lui e da lui fu a poco a poco annullata. “Che cosa terribile se non sarò più un’artista! Mi sento completamente sterile, come se non dovessi dipingere mai più. Ecco cosa succede quando ti lasci convincere a fare la gelatina di prugne! Che poi neppure si rapprende”. Lui non voleva che lei guidasse l’automobile, non voleva che avesse successo come pittrice, anzi la canzonava e la umiliava, e quando in un raro momento di buonumore lei gli chiese: “Non è bello avere una moglie che dipinge?”, lui rispose: “Fa schifo”.
Non rivelerò chi era Medusa del Bernini e perché aveva quell’espressione, e perché sentiva le ciocche dei capelli rizzarsi sulla testa, e perché Bernini era così pazzo di gelosia e voleva ammazzare suo fratello con la spada a Santa Maria Maggiore, ma vi basterà leggere “Le muse nascoste”.