Lettere rubate
Un thriller sul rapporto spaventoso fra madre e figlia. A voi scegliere da che parte stare
"Ho iniziato a leggere questo romanzo alle otto e mezza di sera e l’ho finito all’una di notte..."
Per anni, ben dopo che mia figlia aveva cominciato a dormire tutta la notte, mi sono svegliata sentendola piangere. Mi premevo le mani contro il petto e mi ricordavo di cos’avevo fatto. Mi ricordavo lo spasmo del senso di colpa e la soddisfazione travolgente di averla ignorata. Come mi batteva forte il cuore. Come mi vergognavo di essermi fatta sorprendere.
Ashley Audrain, “La spinta”
(Rizzoli, traduzione di Isabella Zani, 345 pp.)
Ho iniziato a leggere questo romanzo alle otto e mezza di sera e l’ho finito all’una di notte: nella casa silenziosa ho avuto paura. Come quando leggevo da ragazza Stephen King, con la stessa adesione trasognata e con spavento crescente. Spavento non per il mondo fuori, ma per il mondo dentro, che è il posto in cui si trova la possibilità del male, che è il luogo in cui tutto è possibile. La canadese Ashley Audrain ha scritto un romanzo sulle relazioni umane che è anche un thriller, ed è ancora più terrificante perché la relazione principale, assoluta è la maternità. Il rapporto madre-figlia, in cui tutto si compie e in cui non sono ammessi incubi. L’abisso di separazione tra la speranza di una felicità materna e la più feroce disperazione. Ogni donna è tre donne insieme, dice lo psicanalista Winnicott: lei, sua madre e la madre di sua madre. Questo libro ne è la prova, anzi questo libro ne è la vendetta.
Una figlia desiderata, per spezzare la catena degli abbandoni e del dolore, e per coronare un amore giovane e convinto, ma anche per soddisfare il bisogno di un uomo che sogna la famiglia perfetta che ha avuto da bambino, con madre a casa e padre nel mondo per conquistarlo: questa bambina bellissima, Violet, che stringe i pugni e spalanca gli occhi, è il contrario di una benedizione. E’ la conferma, ma solo per sua madre, che il male non finisce, e che non si può aggiustare il sangue. E’ la richiesta di una tregua a tutte le balle sull’istinto materno. Non sempre ci si vuole specchiare in un altro essere umano. Non sempre una figlia è al sicuro con la propria madre che le spazzola i capelli, ma questo lo sappiamo tutti. Ma anche una madre non è al sicuro con una figlia che ha deciso di odiarla, e di odiare tutto ciò che la rende felice, e distruggerlo.
Il lettore viene tenuto sempre sul filo: è una madre pazza, è una madre anaffettiva, la figlia si sente rifiutata e per questo diventa cattiva, o c’è qualcosa di più, qualcosa che anche la puericultrice ha visto e non ha osato dire? A questo punto, ed è la magia della letteratura, ognuno farà la sua scelta di lettura: deciderà a chi dare la colpa. Sceglierà a chi credere. Dando per scontato che il più inconsapevole, e il più insensibile, è questo marito/padre che deve conservare a ogni costo intatto il suo diritto alla perfezione famigliare. A costo della peggiore cecità. Io l’ho detestato, e spero anche voi. Ma la cosa più importante che questo libro si chiede, con una scrittura furiosa e sottile, è: quando è cominciato tutto questo? Con quale gravidanza, con quale errore, con quale grave infelicità? Leggete, e capirete.