Vita e opere nel pollaio
Flannery O'Connor, ovvero l'assistente della gallina
La prima biografia in italiano della scrittrice americana, che ipnotizzava il pollame con lo sguardo e morì prematuramente nel pieno della sua forza creativa. Senza mai perdere l'ironia
I miei pensieri sono così lontani da Dio. Potrebbe anche non avermi creato. Oggi ho dato prova di essere un’ingorda. Di biscotti ai cereali e di pensieri erotici. Su di me non c’è nient’altro da dire.
“Flannery O’Connor, vita, opere, incontri”, di Fernanda Rossini (Ares)
Nella prima biografia in lingua italiana di Flannery O’Connor, grande scrittrice americana, non poteva mancare l’avventura della gallina. Mary Flannery, nata nel 1925 in una famiglia cattolica di origine irlandese, bambina decisa e testarda che chiama i genitori per nome e non ha alcuna intenzione di diventare una signora del sud, è pazza delle sue galline, che alleva in giardino con pazienza e passione. Fissando intensamente una gallina negli occhi, riesce a insegnarle a camminare anche all’indietro. Una tv di New York manda un giornalista e un operatore a filmare questo prodigio. Ma la gallina, emozionata, non ubbidisce a Flannery, e il filmato viene montato al contrario per evitare la delusione. Si trova ancora su YouTube. Flannery nelle sue interviste lo ha raccontato, con la sua formidabile ironia, come un evento determinante della sua infanzia: “C’ero anche io nel filmato… Ero lì solo come assistente della gallina, ma è stato il momento culminante della mia vita. Da allora è stato tutto un anticlimax”.
L’assistente della gallina ha coltivato la sua vena comica per tutta la vita, anche durante il dolore più grande, quando, in una lettera, scrive “ho un grosso tumore e, se non si danno una mossa a rimuoverlo, dovranno rimuovere me e lasciare lui”. Era il 1964, l’anno della sua morte. Avvenuta nel pieno della sua forza creativa, quando aveva appena finito di correggere, a letto, uno splendido, indimenticabile racconto, “La schiena di Parker”. Flannery O’Connor è una scrittrice totalmente non convenzionale, e ostinata nel seguire la sua strada, infastidita dalle critiche e dalle pressioni degli editori, attenta ai consigli di Raymond Carver, attenta a Dio, che pregava continuamente: ti prego, fa di me una buona scrittrice e aiutami ad accettare tutto il resto. “A parer mio quasi tutti sanno cos’è una storia, fino a che non si siedono a scriverne una”. Questo libro ha il pregio di farci sentire la voce di Flannery, dall’inizio alla fine, e quindi la sua presenza continua, brusca, esilarante, decisa, mistica, pratica. Anche attraverso le testimonianze di chi l’ha incontrata (Truman Capote diceva di lei: “Ha davvero delle belle uscite, quella ragazza!”). Una scrittrice della dismisura anche nell’affrontare la malattia degenerativa ereditata dal padre, il lupus. “Posso considerare, con un occhio guercio, tutto questo una benedizione”. Non ha mai smesso di far ridere e di essere diversa da tutti. “Non mi spaventa che il mio libro risulti controverso, mi spaventa solo che non lo sia affatto”.