lettere rubate
Emanuele Trevi e le nostre tante vite
Il libro che ha vinto il Premio Strega ci mostra qual è la parte di noi che non soccombe. Storie di individui che hanno mentito, sofferto, riso, litigato, cercato la bellezza, e che hanno camminato insieme e mandato messaggi vocali quando non riuscivano più a scrivere
Ogni volta che siamo colpiti da un’immagine della bellezza e della dignità umana, è sempre all’opera una discriminazione riuscita tra il futile e l’essenziale, e dunque il senso di una parte di noi che non soccombe, non si lascia trascinare via da nulla, è la sovrana di se stessa.
Emanuele Trevi, “Due vite”, Premio Strega 2021
(Neri Pozza, 144 pp.)
E’ la storia di un’amicizia, con i rimorsi che trascina con sé, ed è la vita degli amici che hanno perso il respiro ma non l’esistenza perché continuano a vivere nelle parole e nella mente di chi li ha amati. I momenti irripetibili passati insieme, ma anche le distrazioni e l’assenza, e poi il futile in cui germoglia l’essenziale. L’euforia di certi pomeriggi a Roma, quando “la vita pareva ancora nasconderci qualche promettente segreto”.
Questo è un libro sul tempo, che si vince scrivendo, andando avanti e indietro in un racconto di sé che non si può fare mentre si vive, perché ha bisogno di distanza e anche di un punto preciso dal quale mettersi a guardare e a ricomporre non solo la vita insieme, ma anche la vita senza di loro: senza Rocco Carbone e Pia Pera, due scrittori, due persone realmente vissute, che hanno lasciato tracce e che sono scomparse troppo presto, ma anche due personaggi creati da questo modo intimo che ha Emanuele Trevi di fare letteratura. Partire da sé, dalla vita reale, e muoversi nel giardino di Pia Pera e nei rancorosi tormenti di Rocco Carbone, muoversi anche nei sogni e decidere di rinunciare a qualche ricordo, a qualche messaggio e fotografia per costruire non un documento e non un saggio (anche “Due vite” si trova nella classifica della saggistica), non un’elegia e non un romanzo, ma un libro che tiene insieme tutte queste cose, con libertà poetica e con fedeltà alla scelta delle parole. Grazie a questa libertà, chi legge viene trascinato nell’intimità con due sconosciuti (non tutti hanno incontrato Pia Pera e Rocco Carbone, non tutti hanno letto i loro libri) e con quell’intimità inevitabilmente arriva a costruire uno specchio di sé e del proprio sentimento o fallimento di amicizia. Ciascuno cerca il proprio Rocco Carbone. Ciascuno misura fra loro l’amicizia e l’amore. Ciascuno conta le futilità e le dimenticanze, e anche l’orrore per il decoro.
Ma Trevi ci ha già messo in guardia: “Ahimè tutti questi specchi che ci offre la letteratura sono deformanti come quelli del luna park, ci rendono inverosimilmente smilzi o obesi convincendoci a riconoscerci nella deformazione. Non dico solo nei libri, ma nell’universo non c’è nulla che davvero ci assomigli, noi stessi non ci assomigliamo, e ogni forma di identificazione non è, in fin dei conti, che il casuale sovrapporsi di ombre fuggitive”. Smilzi o obesi, il libro di Emanuele Trevi è riuscito però a incantarci dentro la comune appartenenza a storie di individui che hanno mentito, sofferto, riso, litigato, cercato la bellezza, e che hanno camminato insieme e mandato messaggi vocali quando non riuscivano più a scrivere. E’ questa, dunque, la parte di noi che non soccombe. Strettamente legata allo stare nel mondo. La felicità è un’altra cosa, dice l’esergo di Cristina Campo: “Quanto ad esser felici, questo è / il terribilmente difficile, estenuante”.