lettere rubate
Sabrina e Corina, le donne nuove del West
Hanno il cuore in mano, esposto, nudo, anche mentre si difendono e fanno le dure. Felici di essere vive, ma con una malinconia dovuta alla conoscenza del dolore. Sono le "chicane" dei racconti di Kali Fajardo-Anstine
Sono cresciuta in una casa di adobe con mia madre e mia nonna a Saguarita, in Colorado. Eravamo solo noi ragazze. Di uomini, nessuna traccia. Mia madre diceva sempre che suo padre era morto per mano di un pazzo a causa di un orologio d’oro, ma una volta invece nonna mi ha detto un’altra cosa: a ucciderlo erano state solo e soltanto le sue stesse mani. E quanto a mio padre, aveva chiesto a mia madre di uscire e l’aveva portata a un drive-in su Alonzo Lane. “E tu, bambina mia, sei il motivo per cui le brave ragazze non si siedono in macchina con i ragazzi”.
Kali Fajardo-Anstine,
“Sabrina & Corina” (Racconti edizioni)
Lunga vita alla Racconti edizioni, che da anni scova, cura e pubblica racconti preziosi, e anche divertenti come questi di Kali Fajardo-Anstine, che ha vinto l’American Book Award per le sue storie del West americano, dove la modernità fuma sigarette sopra un vecchio cimitero indiano. Dove le madri un giorno escono di casa e non tornano per un po’, poi un giorno eccole a cucinare di nuovo braciole di maiale e a sciogliersi i capelli muovendo i fianchi. “Non provi mai la sensazione che la terra ti stia inghiottendo in un sol boccone, Sierra? Che tutta questa bellezza ti stritoli, come se stessi nella bocca di un serpente a sonagli?”. Sentirsi mangiate vive, ecco una sensazione che può afferrare una ragazza rimasta incinta così presto. Sentirsi mangiate vive e reagire, restare oppure no, cucinare, sperare in qualcun altro, ma soprattutto raccontarsi storie.
Storie di famiglia, storie di antenati, storie di zie, cugine, sorelle, madri, figlie, nonne di origine indigena e chicana. “Chicano” è una parola che ha che fare con la parola “latino” e che però la allarga, significa di più, mostra di più e soprattutto offre un mondo di identità diverse le une dalle altre. “In cucina, mia nonna stava rimescolando tre pentoloni di acciaio buoni per un battaglione con un cucchiaio di legno. Aveva le unghie dorate e lunghe e i capelli d’argento cotonati, raccolti all’insù. Avevo assistito a così tanti funerali in casa Cordova da sapere che una pentola era piena di green chili, un’altra di pintos e l’ultima di menudo. Funerali, matrimoni, compleanni: il menu era sempre lo stesso”. Queste ragazze, queste donne, queste bambine che osservano il mondo degli adulti hanno il cuore in mano, esposto, nudo, anche mentre si difendono e fanno le dure. Anche quando dicono: a me no.
Sanno che “le belle ragazze si cacciano in certe brutte situazioni” perché sono gli uomini a dirlo e a ghignare. Loro si spalleggiano, si detestano, si capiscono. Soprattutto si sentono connesse alla terra, ed è un peso ma anche una salvezza, perché quando soffia il vento si sente la potenza di una condizione che si fa carico anche della catatonica tristezza degli uomini, quelli che lasciano che il mondo li mortifichi e li distrugga. Queste ragazze invece non lasciano che il mondo le distrugga. Ma una di loro scompare. Le altre resistono, crescono, si ribellano, dicono: no. Fanno quello che le madri non sono riuscite a fare. Felici di essere vive, ma con una malinconia dovuta alla conoscenza del dolore. Soffrire è anche vedere una madre soffrire. Soffrire è sentire la propria madre dire di sentirsi mangiata viva. E vederla andare via un’altra volta. O vederla mentre non riesce a opporsi, ma sa soltanto sopportare. Questi undici racconti offrono amore, riscatto e nuova lingua e parole all’America di oggi e alle storie antiche che hanno costruito, per contrarietà, le donne nuove del West.