lettere rubate
La libertà incarnata da quattro pensatrici e visionarie del Novecento
Arendt, De Beauvoir, Rand, Weil: Il filosofo tedesco Wolfram Eilenberger ha scelto di raccontare, analizzare e individuare il filo che le unisce nella tempesta, quattro filosofe, scrittrici, pensatrici che si sono fatte strada attraverso il totalitarismo più cupo
L’individuo singolo non è mai stato così totalmente esposto alla cecità del collettivo, e non è mai stato meno in grado di controllare le proprie azioni col pensiero e addirittura di pensare che nell’attuale forma di civiltà. Viviamo in un mondo in cui niente corrisponde alla misura umana.
Simone Weil, 1934
È questo il decennio più buio del Novecento, e fra il 1933 e il 1934 tutto comincia a precipitare. Il filosofo tedesco Wolfram Eilenberger ha scelto di raccontare, analizzare e individuare il filo di libertà che unisce quattro grandi voci nella tempesta, quattro filosofe, scrittrici, pensatrici che dentro il totalitarismo più cupo hanno incarnato, non solo teorizzato, l’idea stessa di libertà. Quattro giovani donne che hanno capito, singolarmente, in modo solitario, che esisteva una forte pressione esistenziale e politica che in nome del Noi voleva limitare le libertà degli individui, e opprimerli, fino a sterminarli. Simone de Beauvoir, Hannah Arendt, Simone Weil e Ayn Rand sono “la salvezza della filosofia in tempi cupi”, che è poi il sottotitolo del libro in tedesco.
“Le visionarie” in Italia è stato pubblicato quest’estate da Feltrinelli, con la traduzione di Flavio Cuniberto ed è il racconto di quattro esistenze forti e avventurose (combattenti della Resistenza, attiviste, fuggitive, intelligenti e sincere in modo estremo e coerente), segnate anche dal sacrificio di sé e dal passo verso gli altri. Quattro pensieri folgoranti e autonomi, che mostrano come la filosofia possa offrire una via di salvezza e di opportunità. Loro stesse sono state illuminate e salvate, e hanno seguito una strada lontana dal vuoto interiore. Una strada libera. Questo saggio, che porta alla luce connessioni passate inosservate e modernità dimenticate, mette a fuoco il rapporto fra individuo e società, fra libertà e totalitarismo, ma anche fra donna e uomo e fra sesso e genere.
Ognuna di loro ha compiuto un’impresa, o molte imprese, senza cadere nel tranello del narcisismo e della convenzionalità: e in tempi tragici, di solitudine e grande pericolo. Esistono doveri morali che vanno molto oltre le scelte dettate dal piacere e dalla conservazione di sé, e pur nelle differenze esistenziali, tutte e quattro hanno portato fino in fondo la stessa idea. Ognuna subendo qualche forma di emarginazione. Ma Simone Weil è arrivata fino alla rinuncia dell’Io in nome della trascendenza. Senza di loro, noi non saremmo dove siamo. Ci sono due anni, in particolare, a cui Eilenberger ha dedicato un intero capitolo, che a noi riportano alla mente l’orrore della storia, il vicolo cieco, l’inizio della fine, e che sono però, e proprio per questo, fondamentali: sono i due anni in cui “Weil trova Dio, Rand la soluzione, Arendt il proprio popolo e de Beauvoir la propria voce”. Nel buio sempre più fitto, in cui la speranza sta per dissolversi, il coraggio del pensiero diventa tutto ciò a cui si può aspirare. “Non potresti augurarti di essere vissuta in un’epoca migliore di questa, in cui si è perduto tutto”, annota Simone Weil nel suo diario filosofico.