lettere rubate
Cederna e le altre, ritratti irresistibili pieni di passione per gli esseri umani
Un'antologia intelligentemente dedicato alle donne: la delusa, l’intellettuale, la snob, la lettrice di giornali, la noiosa, l’allegrona, la ex bella. Camilla Cederna si accorse del cambiamento del suo tempo, anzi della rivoluzione, e la raccontò
“Una cerebrale frigida, tortuosa e gemebonda. Una donna stramba e infranciosata. Una zitella intristita nell’aridità e nella solitudine, atta soltanto a lavori sedentari. Interamente votata alle algide esercitazioni cerebrali. Avvezza ai cincischiamenti del giornalismo mondano. Incapace di comprendere un mondo tanto più vasto e più ricco e più vivo del suo. Simile alla matrona trascurata dal marito che, nella satira di Giovenale, frusta l’ancella che non la sa pettinare”.
Guido Nòzzoli a proposito di Camilla Cederna, sull’Unità, 1957
Nòzzoli e Cederna sarebbero poi diventati amici negli anni successivi, scrive Irene Soave nell’introduzione a “Camilla, la Cederna e le altre” (antologia che ha curato per Bompiani, 365 pp., collana Amletica Leggera). “Ma lui, senza saperlo, aveva fondato un genere”. Ed è liberatorio ridere di questo genere, di questi scandalosi appellativi che Camilla Cederna collezionava periodicamente nei suoi articoli riproponendoli per il divertimento dei lettori e per il suo. “La maga Circe di uno zitellaggio malsopportato”, “la grande mitomane dei nostri giorni”. I nostri giorni, quelli della rubrica di Camilla Cederna “Il lato debole” sull’Espresso, durano dal 1956 al 1976 e titolano pezzi sul mangiare troppo così: “Non c’è redenzione per l’obeso”.
In questi tempi archeologici, impossibili, ormai incredibili, Camilla Cederna si accorge del cambiamento, anzi della rivoluzione e la racconta, la offre, ci scherza, costruisce uno spazio per sé e per le altre: basta essere abbastanza brave, non offendersi, sembrare un po’ cattive, non offendersi, essere cattive anche con le donne, non solo con gli uomini, non offendersi, fingere di non offendersi, di non soffrire nemmeno un po’, scrivere scrivere scrivere finché c’è qualcosa da scrivere e da raccontare, anche una cena, una sfilata, e un incontro con Marilyn Monroe, e una sterminata risposta a Indro Montanelli che la sbeffeggia sull’ipotesi che Giangiacomo Feltrinelli fosse stato assassinato, e non morto accidentalmente durante un’azione di sabotaggio. Lui scrive che Cederna difende gli anarchici perché perlomeno odorano d’uomo. Lei gli risponde: “Caro Montanelli, i rimproveri ammantati, come i tuoi, di savi consigli mi stimolano sempre”.
Ma questo libro è intelligentemente dedicato alle donne: la delusa, l’intellettuale, la snob, la dura d’orecchio, la lettrice di giornali, la semplicetta, la noiosa, l’allegrona, la ex bella, l’efficiente (“Che diamine, basta avere un pizzico di zenzero, un fusibile, della malva appena colta, qualche foglio di carta velina nera, dei trucioli, un po’ di lana di vetro, un vecchio cappello da alpino, una carta geografica, dei pinoli, un po’ di mentuccia o di capelvenere, un cannello graduato, non si dimentichi l’acido gallico, e chi non ha in casa un po’ di Bianco di Spagna?”).
Sono ritratti irresistibili, precisi, spietati eppure pieni di quella comprensione che è data da una vera passione per gli esseri umani. Non basterebbe un intero libro per dire seriamente che cos’è la frivolezza e quanta importanza ha nell’esistenza e nel racconto dell’esistenza, accontentiamoci quindi della citazione conclusiva de “Il mondo di Camilla” (autobiografia del 1980, in forma di lunga intervista con Grazia Cherchi) con cui Irene Soave apre le danze di Camilla Cederna: “Se la natura non ci avesse fatti un po’ frivoli, saremmo molto infelici: proprio perché è frivola, la maggior parte della gente non si impicca”.