lettere rubate
La faticosa felicità di Natalia Ginzburg, che non è mai soddisfazione
Una scrittrice che è stata sempre lontana dalle cerimonie e dai convenevoli, e "Vita immaginaria" ne mostra la solitudine, la durezza, la dolcezza, la severità, l’impulso, il ragionamento limpido. Le sue pagine risuoneranno nella memoria come un amico ritrovato
La felicità è infinita, perciò comprende anche la disperazione. La soddisfazione esclude la disperazione. Il linguaggio della felicità è universale. Il linguaggio della soddisfazione, privato e personale. La felicità non è vanitosa. La soddisfazione è vanitosa. La felicità non è snob. La soddisfazione è snob, non essendo come la felicità avventata e immemore, ma operando una scelta fra le cose, fra i luoghi, fra le persone, cercando come e dove le sia consentito di sussistere indisturbata.
Natalia Ginzburg, da “La vita immaginaria” (Einaudi, 228 pp.)
Natalia Ginzburg costruisce questa definizione di soddisfazione per scrivere nel 1974 che i versi di Giorgio Bassani, la raccolta “Epitaffio”, non le sono piaciuti, perché ci vede dentro la soddisfazione, che è opaca, fa contento solo chi la prova, non manda agli altri né ombra né luce. Le dispiace dirlo, perché vuole molto bene a Bassani (che si offenderà molto) “ma lo dico lo stesso, perché mi sembra che in questa nostra vita italiana, tutti passiamo il tempo a farci dei sorrisi, delle cerimonie, dei convenevoli, e non diciamo mai il nostro vero pensiero”. In realtà il 1974 è lo stesso anno del grande scandalo della "Storia" di Elsa Morante, e dei giganteschi attacchi al suo romanzo. Ma Natalia Ginzburg è stata sempre lontana dalle cerimonie e dai convenevoli, e questo libro mostra la solitudine, la durezza, la dolcezza, la severità, l’impulso, il ragionamento limpido di questa grande scrittrice di cui Cesare Garboli ha scritto: l’innocenza separata dall’ingenuità. Nessuna furbizia, nessun ammiccamento, ma “una forza intellettuale in sé e per sé, un’arma che impone le sue leggi”. Anche sui giornali, la Stampa e il Corriere della Sera, su cui vennero pubblicati gli articoli presenti in questa magnifica raccolta, Natalia Ginzburg ha esercitato questa forza, portando la sua modernità e il suo modo di guardare il mondo, gli avvenimenti politici e quelli culturali, esercitando l’autobiografia dove meno sembrava indicato.
Questo libro è uscito per la prima volta da Mondadori nel 1974, e poi mai più ripubblicato fino a oggi. A chi non l’ha mai avuto tra le mani sembrerà un nuovissimo libro, anche se alcuni pezzi sono talmente famosi (penso a La condizione femminile, Goffredo Parise, Moravia, Le donne, Gli ebrei e Vita immaginaria) che risuoneranno nella memoria come un amico ritrovato. E poi la bellissima foto di copertina e il saggio critico di Domenico Scarpa: “Gli ebrei, Natalia Ginzburg, il disumano” che offre una chiave di lettura molto preziosa: “Se esiste chi ama i libri di Natalia Ginzburg, se esiste in particolare chi ama i suoi libri non narrativi, da Le piccole virtù a Mai devi domandarmi a questo Vita immaginaria che dopo mezzo secolo ritorna, è perché nel leggerli percepisce che sono stati scritti – in maniera consapevole ma non del tutto – per dare cittadinanza al destino di ogni persona: perché sono libri asciutti e solidali, dove la mancanza di giustificazione, che segna l’esistenza di chiunque di noi, incontra non una ragione bensì un assenso. Chi legge libri come questo ci troverà sempre una porta per entrare o un varco per fuggire”.
Chi legge libri come questo troverà la considerazione del presente come unico luogo praticabile, troverà i libri, i film, i dubbi e il desiderio di allegria. Troverà i figli adulti, e il racconto del traforo che da via Milano porta a via del Tritone, a Roma, e che è rimasto intatto, ed è esattamente come nel racconto di Natalia Ginzburg. Troverà a volte una faticosa felicità, che non ha mai in nessun modo a che fare con la soddisfazione.