lettere rubate
I fantasmi di Michele Mari e una tristezza incredibilmente allegra
Leggere i racconti di "Le maestose rovine di Sferopoli" dà i brividi, di fuga dalla realtà ma anche di ritorno a una realtà che avevamo sepolto, a possibilità di realtà che non avevamo più considerato. Un catalogo di fantasmi, ossessioni, magnificenze letterarie di cui godere e in cui perdersi
La storia più paurosa l’ha scritta De Cillis, perché all’inizio dice che è una storia vera. Se non lo diceva non era molto paurosa, ma così è da far venire i brividi. Io poi ci credo che è una storia vera, basta guardare in faccia De Cillis per capire che è uno che quelle cose gli capitano davvero. (Pinzi Elena)
Michele Mari, “Le maestose rovine di Sferopoli” (Einaudi, 165 pp.)
Michele Mari riesce nell’esercizio magico di farci provare gioia mentre ci terrorizza, mentre riporta alla memoria il terrore dell’infanzia, mentre ci mostra la malattia mentale e l’ultraterreno. Leggere questi racconti dà i brividi, di fuga dalla realtà ma anche di ritorno a una realtà che avevamo sepolto, a possibilità di realtà che non avevamo più considerato. A ricordi di notti insonni piene di mostri e di possibilità. Gli alunni della III C scrivono sui quaderni la loro opinione sulle storie paurose create dai compagni nel tema, e il maestro elementare la sera, dopo aver scrollato la tovaglia, li legge di malavoglia e con disprezzo, mette voti a casaccio ma poi diventa pallido e resta incastrato in un maleficio.
È un catalogo di fantasmi, ossessioni, magnificenze letterarie di cui godere e in cui perdersi. Gira la testa, gira il mondo, e la Storia del bambino triste che filosofeggia sulla sua tristezza perché entra in competizione con il bambino tristissimo, è incredibilmente allegra. Ma ogni storia è diversa dalla precedente, cambia la lingua, cambia la forma, cambia l’impossibilità, cambia tutto tranne l’identità vertiginosa di Michele Mari, che costruisce un dialogo indimenticabile tra padre e figlio sulla paura del buio. Domande e risposte in cui possiamo trovare la nostalgia, il terrore, l’affetto, la filosofia, il pessimismo, il dubbio, l’esasperazione e la fiducia, la semplice e magnifica fiducia dell’infanzia.
“Sfido chiunque a dividermi, disse l’atomo tronfio”.
Michele Mari dà vita a tutto, offre tormento interiore a tutto. Ed elenca i vecchi cinema di Milano, quando lui era bambino ed entrava al Savona per vedere due film alternati al prezzo di un biglietto (uno in bianco e nero e uno a colori; il primo era in genere una commedia, il secondo un western o un mitologico o un cappa e spada). “Di norma, stante gli orari di mio nonno, li vedevo a chiasmo, secondo un ordine che produceva effetti surreali: secondo tempo del primo film, secondo film, primo tempo del secondo film. In effetti nessuno, all’epoca, faceva caso all’orario di inizio: si entrava quando si entrava, e il bisbiglio che annunciava ritualmente l’uscita era: ‘Ecco, siamo entrati qui’”. Ecco, siamo arrivati dentro le maestose rovine di Sferopoli.