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La felicità del lupo e di chi cerca il rifugio, il nuovo libro di Paolo Cognetti
Fausto ha quarant’anni, voleva fare lo scrittore, forse non ci è riuscito, il suo matrimonio è finito e il suo slancio è adesso verso una seconda possibilità. In montagna le piccole felicità sono completamente libere da fronzoli, ridimensionate dall’immensità
Poi sentì che il sole di ottobre era tiepido sulla pelle – non sprecarlo, si disse, non sprecarlo –, si mise gli scarponi e se ne andò in montagna a fare un giro.
Paolo Cognetti, “La felicità del lupo” (Einaudi, 152 pp.)
Non è un romanzo sulla solitudine e non è un romanzo sulla montagna. La solitudine e la montagna (contemporanea, fatta di larici, ghiaccio, stagioni concrete e lavoro quotidiano) sono parti fondamentali e vive di un racconto terso sugli incontri fra esseri umani. Sull’irrequietezza che li spinge a spostarsi per cercare un punto di felicità, o almeno una pace. L’irrequietezza per chi la subisce è deludente, per chi la vive è identità.
Fausto ha quarant’anni, voleva fare lo scrittore, forse non ci è riuscito, il suo matrimonio è finito e il suo slancio è adesso verso una seconda possibilità. A Fontana Fredda, da solo, a cucinare per gli sciatori e per gli operai della seggiovia. Qui accadono, semplificati, gli incontri, la possibilità dell’amore o di un inverno insieme, le amicizie scontrose, la scoperta del fardello degli altri. Qui le piccole felicità sono completamente libere da fronzoli, ridimensionate dall’immensità della montagna e dalle ore del giorno e della notte, così diverse dalle ore di città: evidenti, tridimensionali, decisive e pericolose. Sembrano più preziose e reali delle ore urbane, grazie a questa scrittura asciutta, essenziale, che ci offre il passaggio della giornata e dei sentimenti con una precisa purezza.
Uscire alle quattro del mattino per fare un giro sul ghiacciaio, e alle sette cominciare a lavorare. Fare l’amore appena finito il turno al rifugio, e poi addormentarsi mentre fuori sale la nebbia, a 3.500 metri. “Chiuse gli occhi e si sentì proprio come una volta. Ma adesso era meglio di una volta, perché c’erano i suoi ricordi di mezzo. È così che dev’essere un rifugio, pensò. Vale più se custodisce qualcosa di tuo”. Così si rifugiano le persone: in posti che custodiscono qualcosa da cui ci si può allontanare, ma mai davvero separare.
Paolo Cognetti ha vinto il Premio Strega nel 2017 con Le otto montagne, e adesso La felicità del lupo esplora con dolcezza la vita adulta, la seconda chance. Solo Silvia, che ha 27 anni, deve ancora capire chi vuole diventare: la sua irrequietezza è un diamante, ancora privo di delusione.