lettere rubate
Yasmina Reza ascolta e restituisce la voce umana del vivere inciampando
Il viaggio di famiglia ad Auschwitz di tre fratelli smemorati e sul viale del tramonto, trascinati controvoglia dalla figlia di Serge, che dà il titolo al nuovo romanzo della scrittrice francese. Lei che si fa gioco di tutto e costruisce la pietà umana di chi legge attraverso il lato comico, vanesio e patetico dell’esistenza
Dio solo sa dove si iscrivono le cose dell’infanzia. Quando sento di una catastrofe alla radio e scopro che le vittime sono sulla sessantina mi dico, occhéi, è triste, ma è gente che ha vissuto la propria vita. E poi penso, è l’età che hai tu caro mio, più o meno l’età che avete tu, Serge, Nana. Non lo sai? Da mia madre, sul suo comodino, c’era una foto di noi tre che ridevamo aggrovigliati l’uno con l’altro in una carriola. E’ come se fossimo stati spinti a una velocità vertiginosa e rovesciati nel tempo.
Yasmina Reza, “Serge” (Adelphi)
Che grande scrittrice è Yasmina Reza: procede nei suoi libri distruggendo e perdonando, facendosi gioco di tutto e costruendo la pietà umana di chi legge attraverso il lato comico, vanesio e patetico dell’esistenza. Attraverso una vitalità che si permette di scorticare qualunque cosa e di trasformarla in un dialogo comico, isterico, commovente: anche un viaggio di famiglia ad Auschwitz di tre fratelli smemorati e sul viale del tramonto, trascinati controvoglia dalla figlia di Serge, il fratello che dà il titolo a questo romanzo.
“Quest’anno ho deciso di andare ad Ausciuiz”. “Purtroppo hanno chiuso”. “AUSCVIZ” ha gridato Serge. “Ausciuiz! Come dicono i goyim!...Impara a pronunciarlo intanto! Auschwitz! Auschwwwitz! Vvv…”. “Papà…!”.
Serge è un uomo strabordante, che va a dimagrire in Svizzera, litiga, mangia un croque monsieur prima di sedersi a tavola, fuma mentre sente un principio di infarto e sa che la vecchiaia ti salta alla gola da un giorno all’altro. Il fratello di mezzo, la voce narrante, parla poco e osserva molto, ma li ama tutti e li trova tutti insopportabili. Anche nelle camere a gas, mentre fotografano i graffi sul muro. “Diranno terribile, indicibile, eccetera, a ogni piè sospinto, queste due?, mi sono chiesto”. Anche mentre cammina dietro sua sorella, e ne nota il declino fisico e la goffaggine. Non sono soltanto le parole e i battibecchi a scorticare, è anche il tempo che a una velocità assurda graffia i corpi e li sottomette. Ma loro tre, i tre fratelli, saranno sempre i tre ragazzi Popper, che anche davanti al cancro hanno voglia di rivedere Frankenstein Junior che faceva tanto ridere il padre. “Eravamo felici”. La felicità è esistita, esiste sempre. Come il fallimento. Esistono forse vite non fallimentari? “Le nostre ore di gloria e sofferenza”, questa è stata l’infanzia, con una madre che voleva cancellare la parola ebrei dalla famiglia e che li teneva tutti insieme, agganciati fino alla fine al pranzo della domenica.
“Dove vuoi essere sepolta mamma? Non me ne può fregare di meno. Vuoi che ti mettiamo insieme a papà? Ah no, con gli ebrei no!”.
Yasmina Reza ascolta e restituisce la voce umana del vivere inciampando, e le offre sense of humour e una crudeltà piena di calore che allarga a dismisura il campo delle cose di cui si può ridere. Anzi proprio non si pone il problema di fermarsi, non si pone il problema del coraggio, della sconvenienza, semplicemente va, immagina, crea, scrive. I pensieri più scandalosi, i litigi più meschini, le parole prive di senso, la superstizione, perfino il feticismo della memoria. E lo fa con nessun distacco, ma con totale empatia verso la vita, storta, cialtrona, impaurita: nostra.