"Piccole donne" di Greta Gerwig 

lettere rubate

Louisa May e la libertà a forma di schiavitù. Pensare a tutti, scrivere sempre

Annalena Benini

La scrittrice di "Piccole donne" è diventata famosa, anche ricca, ma è morta a cinquantasei anni soltanto, pochi giorni dopo il padre, l’uomo ingombrante e vanesio che le ha inculcato una forma particolare di libertà: essere autonoma per essere responsabile

Mi sono messa subito al lavoro perché, come mi aspettavo, le cose erano rimaste indietro mentre la moneymaker era via.

Beatrice Masini, “Louisa May Alcott” (Perrone editore, 114 pp., 19 euro)

Di Louisa May Alcott crediamo di sapere tutto perché abbiamo saccheggiato, amato, riverberato Piccole Donne edizione dopo edizione, film dopo film, abbiamo scelto chi volevamo essere, ci siamo appropriati di quel Natale e di quella famiglia ma non ci siamo mai chiesti se Louisa May Alcott fosse riuscita a scegliere chi voleva essere. Sei Jo, non è vero? Sei la ragazza che vende i suoi capelli, sei la scrittrice che vuole essere libera, sei la femminista progressista che non ha nessuna intenzione di sposarsi ma poi si innamora, o forse no, forse deve solo compiacere l’editore con un  finale rassicurante. Per essere pagata, per essere pubblicata. Beatrice Masini entra nella vita di Louisa May Alcott come in una resa dei conti, un disvelalmento, un finale che diventa il corpo a corpo della vita di chi scrive: di una donna che scrive. Masini racconta Alcott attraverso le lettere, negli anni, attraverso la paga degli editori e delle riviste, attraverso le rievocazioni di Louisa ragazzina che agita il pugno sotto un cielo livido e invoca: “Presto farò qualcosa, qualunque cosa, insegnare, cucire, recitare, scrivere, qualunque cosa per aiutare la mia famiglia; e prima di morire sarò ricca e felice e famosa, vedrai”.

Louisa May è diventata famosa, anche ricca, ma di quella ricchezza che serve a pagare i debiti e a occuparsi dei bisogni degli altri (le case, la caldaia nuova, le infermiere per la madre, gli studi della sorella e poi dei nipoti), ma è morta a cinquantasei anni soltanto, pochi giorni dopo il padre, l’uomo ingombrante e vanesio che le ha  inculcato una forma particolare di libertà, quella di dedicarsi a lui e alla famiglia, risolvere i problemi di tutti: essere autonoma per essere responsabile. La felicità è necessaria a quel genere di libertà e di realizzazione? Louisa May Alcott non ha fatto esattamente quello che voleva, non ha scritto le storie che amava, si è adattata alle richieste di tutti, ma ha scritto sempre, con frenesia, con successo, esercitando l’abitudine all’annullamento di sé. Essere brava: la cosa più importante. Essere felice: chissà che cosa significa. Forse la rivincita verso chi le diceva: scrivere non fa per te, continua a insegnare. La rivincita verso chi aveva definito il suo libro “noioso”. L’orgoglio di estinguere a quarant’anni tutti i debiti del padre, anche quelli prescritti. La felicità di essere letta, ancora e ancora, la felicità di obbedire a qualcuno che ti ordina: scrivi.   

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.