lettere rubate
Lucia Joyce e suo padre, il segreto dei loro occhi e dell'abisso che li inghiotte
Luigi Guarnieri, scrittore appassionato di personaggi con grandi sogni e ambizioni quasi sempre irrealizzabili, va alla ricerca del segreto dell’infelicità della figlia dello scrittore dell'"Ulisse", che ha vissuto gran parte dei suoi anni in cliniche e manicomi
A proposito di Joyce, Lucia non vuole nemmeno sentirlo nominare – se parlate di lui me ne vado – e dice che l’ha visto piangere solo quando temeva di diventare cieco e di non poter più scrivere quei suoi stupidi libri di merda.
Luigi Guarnieri, “Il segreto di Lucia Joyce” (La nave di Teseo)
La storia di un padre e di una figlia, con la malattia mentale e la letteratura a danzare intorno a loro: ma James Joyce aveva la sua missione, la sua ossessione, e la figlia, Lucia, ne è stata sopraffatta. Sacrificata, a partire dall’infanzia fatta di traslochi e di esaurimenti nervosi di sua madre e di crolli anche fisici di suo padre. Lucia, nata a Trieste, si chiamava così perché Lucia è la santa patrona della luce e della vista, e James Joyce aveva già gravissimi problemi agli occhi che gli procuravano un gran dolore e in seguito una quasi cecità. Lucia era la martire di Siracusa, ma anche l’eroina folle, omicida e morta di dolore della Lucia di Lammermoor di Donizetti, che Joyce citerà in un capitolo dell’Ulisse. Lucia era una ragazza nata all’inizio del secolo scorso che amava la danza e che voleva essere amata, dal padre, dal fratello, dalla madre e dagli uomini che ha incontrato nella giovinezza, ma tutti le preferivano suo padre: tutti erano pazzi di lui, o sentivano di doverlo proteggere, compreso Samuel Beckett che, rifiutandola, le dirà che frequentava casa sua perché era interessato a James Joyce e ai suoi scritti e non tanto a lei, “la graziosa ragazza un po’ strabica che tutti i giorni gli apriva la porta dell’appartamento”.
Luigi Guarnieri, scrittore appassionato di personaggi “che potremmo in qualche modo definire folli, con grandi sogni e ambizioni quasi sempre irrealizzabili”, va alla ricerca del segreto dell’infelicità di Lucia Joyce, che ha vissuto gran parte dei suoi anni in cliniche e manicomi, e che a lungo ha cercato di affermare la sua identità, la sua vitalità. Ha cercato di scappare. Ha provocato enormi sensi di colpa nel padre, ma questo dolore ha alimentato la sua scrittura. Soltanto lì James Joyce riusciva a schivare l’abisso, a renderlo costruttivo. Guarnieri ha individuato i momenti cruciali di questo cammino verso il precipizio, e ha ridato a Lucia la sua dignità di ribelle. “Legge, scrive lettere, mangia frutta, ingrassa, beve champagne, fuma moltissimo e appicca il fuoco ai suoi vestiti con le scatole di fiammiferi che tiene in tasca, va a pescare, non indossa biancheria intima, cavalca i pony, cerca di sbottonare i pantaloni ai boyfriend delle cugine, distrugge il suo bungalow e gironzola per la promenade indossando un vistoso cappotto di cammello e agitando in aria un bastone, come fosse la padrona del mondo”. Senza futuro, senza più luce dentro, perché tutta la luce l’ha presa suo padre.