lettere rubate
L'avventura di vivere, oggi come duemila anni fa, e la coltre rovente su Pompei
La storia di Lucio, un giovane romano che alla carriera di senatore preferirà prendere il mare e viaggiare, oltre l'eruzione del Vesuvio. Un romanzo di Valeria Parrella
Non c’è un’altra strada infatti per chi non appartiene del tutto al proprio mondo che tradirlo in qualche sua parte.
Valeria Parrella, “La fortuna” (Feltrinelli)
Lucio è un ragazzino ricco con un grande desiderio: l’avventura. Per questa avventura è disposto a tradire il suo mondo, non vuole diventare senatore ma navigare il mare a bordo di una nave. Lucio vuole il bacio della dea Fortuna. E’ un ragazzino pieno di vita che, oggi come allora, aspetta l’incontro dell’umano con il divino, cioè il momento esaltante in cui tutto si fa chiaro e in cui le cose accadono. “Ognuno di noi dentro di sé sa cosa vuole, sempre, anche quando si professa disorientato. Ma quando si è molto giovani le possibilità della vita si partono da noi come raggi da una stella: sono tutti ugualmente splendenti, e per me quel bacio significava che uno di quei raggi sarebbe stato mio”. Lucio vive la sua avventura e il suo tradimento duemila anni fa: il filo del suo destino, il suo diventare uomo, si compiono durante l’eruzione di Pompei, che seppellisce la casa, il mondo, l’infanzia. Le persone. La catastrofe che tutti conosciamo, e continuiamo a guardare, è stata portata qui tra noi da Valeria Parrella attraverso lo sguardo di un ragazzo che si salva grazie al suo sogno, ma senza mai distogliere lo sguardo dalla morte. Anzi navigando verso di lei, avvicinandosi il più possibile per prestare soccorso, infilando il remo nell’acqua diventata densa.
Lucio ha un occhio che non vede: quando lo scopre, pensa che sia un limite, una disperazione. Un guaio. Quando si specchia, gli dispiace quell’occhio storto. Ma quando è in mare, quel limite non esiste più, perché l’ha superato con il suo desiderio. Ha preso in mano il filo della Fortuna, ha riempito la sua giovinezza, ha avuto dei maestri e li ha ascoltati. Ha considerato preziosi i loro consigli e gli insegnamenti, ma ha considerato necessario il tradimento e anche l’abbandono. Ha scelto la sua vita.
Con una lingua precisa, rispettosa del mondo classico e della sua vita quotidiana, attenta a tutto quello che non c’era ma anche all’entusiasmo e alla modernità di una città in ricostruzione dopo il terremoto (una città che non sapeva, come sempre, di aspettare la morte), Valeria Parrella trasporta la speranza, il desiderio e l’emergenza nel tempo, pesca dentro di sé l’ostinazione e la bellezza di “capire il bene mentre lo provi”. Mostra che ogni storia è una storia di avventura: l’avventura dell’uomo alle prese con se stesso e i propri limiti, e con il bisogno di celebrare quello che c’è. “Invece ora, quando ci penso, so che si deve festeggiare sempre, tutto, appena si può. Che le feste sono solo un modo per punteggiare la vita: mostrare agli dei fin dove siamo arrivati a immaginarla, perché oltre non sappiamo andare”.