lettere rubate
Lo zucchero bruciato di Anni Doshi, nella lotta brutale ed elegante tra madre e figlia
La scrittrice americana mostra la carne viva del rapporto primario e della sua ferocia. Una madre con l’Alzheimer e una figlia, apparentemente solida e forte, che deve prendersi cura della donna che è stata anche la sua carnefice
Certe notti, mia madre veniva in camera mia, s’infilava nel letto insieme con me e premeva i piedi freddi contro i miei. Di tanto in tanto mi chiedeva di mostrarle alcune parti del mio corpo. Le fissava e le confrontava con le sue; lei aveva il seno più grande, ma io avevo la vita più stretta. Secondo lei le mie qualità positive erano dovute all’età, ed era certa che a quarant’anni sarei stata più brutta di lei.
Avni Doshi, “Zucchero bruciato” (editrice Nord, 380 pp.)
Per raccontare la verità di un rapporto ambiguo, primario e misterioso, serve brutalità. Non ci si può nascondere dietro alla dolcezza, non si può essere reticenti rispetto alla forza oscura che porta a odiare e ad amare, e ad amare mai in modo limpido, ma sempre tremendamente in bilico sopra rabbia e paura, sopra il ribaltamento che porta una madre forte, libera e feroce a diventare una figlia bisognosa e sperduta, ma sempre in grado di sferrare coltellate sotto forma di parole, gesti e ricordi. “Perfino nella follia, mia madre era riuscita a umiliarmi”. Questo è il romanzo di due donne adulte, una ha vissuto ormai la maggior parte della sua vita, l’altra sta ancora aspettando che arrivi il suo futuro. La madre, Tara, ha l’Alzheimer che la consuma lentamente, ma ci si aspetta il precipizio da un giorno all’altro. E la figlia, Antara, ora apparentemente solida e forte, deve prendersi cura della donna che è stata anche la sua carnefice, la madre crudele che vorrebbe rinnegare ma da cui non riesce ad allontanarsi.
Con una scrittura elegante e brutale, Avni Doshi mostra la carne viva del rapporto primario e della sua ferocia: la ex bambina abbandonata, maltrattata e ignorata, la ex ribelle che ha pensato soprattutto all’amore, perché nell’amore esercitava la sua ribellione. In India, negli anni Ottanta, con una suocera dedita alla competizione e al patriarcato, che le ordinava di aspettare il marito in piedi davanti alla porta di casa, ovviamente dentro casa e non fuori. “Forse tra noi sarebbe andata meglio se non mi avesse designata come il suo annullamento. Come posso evitare di compiere lo stesso errore?”. La figlia si interroga continuamente sul suo odio e sul suo desiderio di avvelenamento, e scopre che i ricordi della madre sono molto diversi dai suoi, scopre anche che la madre ha sempre sospettato del suo tradimento (che non svelerò). E’ una storia potente di colluttazioni e di rincorse, in cui nessuna delle due donne è disarmata e nessuna è veramente immune da un amore forte, lancinante, che esclude il mondo e che lo ricostruisce secondo regole fatte di contraddizioni. Vicinissime e mai pacificate. “Mi facevi sentire di merda”, ride la madre.