Lettere rubate
Donne d'America, diciotto scrittrici raccontano il mondo visto dalle ragazze
“Donne d’America” (pubblicato da Bompiani) offre diciotto racconti di diciotto scrittrici molto diverse fra loro, diciotto storie di un’America che potremmo non avere mai incontrato prima, perché quel punto di vista non lo avevamo mai letto
“Penso che lo dobbiamo alla società, di osservare la moda del momento”, disse la signorina Lucina. “Una donna non può permettersi di non essere attraente. Sento che ora siamo pronte a tutto!”.
Sarah Orne Jewett, “Le signore di Dulham"
E intanto le donne? E’ la domanda che si sono fatte Giulia Caminito e Paola Moretti pensando alla letteratura americana dal 1850 al 1950, il secolo in cui sono stati celebrati Jack London, Herman Melville, Mark Twain, Francis Scott Fitzgerald. Che cosa fanno intanto le donne, mentre viene abolita la schiavitù, mentre inizia la lotta per il voto femminile, mentre viene inaugurata la Statua della Libertà. Le scrittrici americane esistevano e osservavano la realtà, ognuna dal suo angolo, qualcuna celebrata come Edith Wharton, qualcuna invece ha corso il rischio di venire totalmente dimenticata, di non arrivare mai tra le nostre mani. Gwendolyn Bennet veniva tenuta d’occhio dall’Fbi perché possibile spia comunista. Alice Dunbar Nelson fu la voce della comunità nera di New Orleans, si sposò tre volte e lottò per il diritto delle donne al voto e al lavoro.
Giulia Caminito e Paola Moretti hanno fatto una selezione di racconti, che Paola Moretti e Amanda Rosso hanno tradotto, aggiornando la lingua quando era necessario ma restando fedeli alla collocazione sociale e cronologica del testo nella storia. “Donne d’America” (pubblicato da Bompiani) offre diciotto racconti di diciotto scrittrici molto diverse fra loro, diciotto storie di un’America che potremmo non avere mai incontrato prima, perché quel punto di vista non lo avevamo mai letto, perché quella autrice non era mai stata tradotta. C’è però qualcosa che accomuna tutte le scrittrici, ed è il senso dell’umorismo, a volte di appena accennato, come un risolino trattenuto, come uno sguardo in tralice. “La storia di un’ora” di Kate Chopin è un racconto di poche pagine su una donna a cui viene annunciato, con tutte le cautele, che il marito è morto in un disastro ferroviario. Lei piange subito, con una tempesta di dolore, e poi se ne va sola nella sua stanza. Lì, si rivela. Anzi, le si rivela qualcosa. Una gioia violenta. “Quando si abbandonò, una parolina sussurrata le sfuggì dalle labbra socchiuse. La mormorò fra i denti ancora e ancora: ‘Libera, libera, libera!’”. Non ci sarebbe stato nessuno a vivere per lei in quei prossimi anni, avrebbe vissuto per se stessa. Suo marito era morto e lei esultava di fronte all’affermazione di sé, davanti ai giorni che finalmente le sarebbero appartenuti: nessuna volontà forte avrebbe cercato di piegare la sua con quella solita cieca insistenza. Non dirò che cosa succede poi, non dirò chi vive e chi muore, ma Kate Chopin è nata a Saint Louis nel 1850, l’anno di pubblicazione della Lettera scarlatta. Grazie alla cronologia storica e letteraria americana che trovate in fondo al libro, ora capisco qualcosa di più.