Lettere rubate
Proust per Piperno, un grande amore. Idolatria, snobismo, umanità
L’onestà artistica di uno scrittore che ha il coraggio e il rigore di mostrare il Narratore per quello che è: anche gretto, mediocre, vendicativo, irrimediabilmente snob
Non fu amore a prima vista. Non me ne innamorai come Swann si innamora della “piccola frase”, ma come s’invaghisce di Odette: lentamente e senza un perché. Solo oggi comprendo che se lo avessi capito all’impronta non sarebbe stato amore ma semplice infatuazione. Alessandro Piperno, “Proust senza tempo” (Mondadori, 150 pp.)
Questa lunga storia d’amore inizia l’ultimo anno di liceo con il regalo di Natale di un compagno di scuola: Alessandro Piperno si rigira fra le mani un librone in similpelle blu navy con intarsi dorati, il primo volume di Alla ricerca del tempo perduto tradotto da Giovanni Raboni per i Meridiani. La vita cambiava in quel momento, dapprima impercettibilmente, e il contagio ha portato con sé negli anni anche l’idolatria, una delle caratteristiche dell’identikit morale del proustiano tipo, che in questo libro è tratteggiato in modo preciso, impietoso e autoironico.
Ma soprattutto, Piperno offre qui le ragioni di un legame indissolubile, che coinvolge le vite di tutti e i libri di molti: “Non so se Proust sia il più grande romanziere di sempre – talvolta, mettendo tra parentesi i suoi difetti, sono portato a crederlo –, ma sono certo che nessun altro scrittore, dopo Shakespeare, abbia saputo descrivere con altrettanta pazienza e precisione i moti tellurici dei nostri cuori in subbuglio”. Trent’anni dopo il primo incontro, Piperno analizza la centralità di Proust (anche attraverso la sua vita, la dissipazione giovanile, il riscatto degli ultimi anni febbrili) nell’idea della vocazione letteraria. L’onestà artistica di uno scrittore che ha il coraggio e il rigore di mostrare il Narratore per quello che è: anche gretto, mediocre, vendicativo, irrimediabilmente snob. Un uomo insomma, tutti gli uomini, a cui niente di ciò che è umano può essere estraneo.
La grandezza di Proust è per Piperno la stella polare che guida il raffronto con la letteratura, e allora ecco gli altri, in una danza felice. Montaigne, Céline, Nabokov, Balzac, Dante. Nel mio piacere di libera lettrice la commozione è andata in particolare ai capitoli: “Proust e Woolf” e “Proust e Roth”. Per il tempo perduto costruito da Philip Roth in Pastorale americana, per l’ostinazione con cui Virginia Woolf e Marcel Proust hanno inseguito, ognuno nella propria solitudine, il faticoso intento di andare al cuore delle cose, eliminare l’inessenziale e trasformare la prosa in poesia. Quel che Virginia Woolf diceva di Proust: “Resistente come il filo per suture ed evanescente come la polvere d’oro di una farfalla”.