lettere rubate
La rivoluzione non è un ballo di principesse, o forse sì? Il potere del racconto
In “Principesse - eroine del passato, femministe di oggi”, Giusi Marchetta analizza l’archetipo di questa figura femminile per deprincipessizzarla e per osservarne il cammino di libertà, di furbizia, di emancipazione
Una mia alunna una volta mi ha chiesto cosa significasse “appetibile”. Sua madre le aveva detto che avrebbe dovuto dimagrire un po’ per rendersi più appetibile. Non era sbagliato? Non valeva solo per le cose che si possono mangiare?
Giusi Marchetta, “Principesse - eroine del passato, femministe di oggi” (add editore, 220 pp.)
“Ogni passo un dolore”, scriveva Andersen nella “Sirenetta”, e noi siamo cresciute così, con questa frase nella testa, con le meravigliose, malinconiche, strazianti avventure della Sirenetta. Alice Munro ha iniziato a scrivere per salvare la vita alla Sirenetta e cambiare il finale, Giusi Marchetta, nata negli anni Ottanta, scrittrice e insegnante, confessa come un peccato di avere amato tantissimo quella fiaba, da bambina, di averne ricopiata ogni pomeriggio una pagina su un album, compresi i disegni, perché fosse identica alla versione del libro illustrato. E adesso che l’infanzia è perduta per sempre si può provare a regolare i conti, ma con amore verso quelle povere principesse in attesa della salvezza da parte di uno scemo in calzamaglia, o di una bestia orribile che urla e strepita. Giusi Marchetta analizza l’archetipo della principessa per deprincipessizzarla e per osservarne il cammino di libertà, di furbizia, di emancipazione. “Rapunzel”, seppur biondissima per compensare gli scarsi incassi de “La principessa e il ranocchio”, con una principessa troppo rana e troppo riccia, è di certo la principessa più simpatica che c’è: grazie Disney di avere iniziato a concedere il sense of humour a una ragazza. Da quel momento, la strada è in discesa. Non servirebbero nemmeno le principesse guerriere, se ci sono principesse con la risposta pronta. “La pena peggiore (e intenzionale) che si può infliggere a queste principesse è tenerle separate, insistere perché i loro sguardi non si incrocino. Nessuna di loro è davvero sola: milioni di bambine le guardano, tifano per loro. Che siano libere di ricambiare il favore, allora: di guardarsi l’un l’altra e di fare un’alleanza che non escluda nessuna”. Ci sono in questo saggio anche i minuti in cui ogni principessa sta in scena, si prende la scena. Più a lungo ti guardano, più sei importante. La povera Aurora aveva soltanto diciotto minuti tutti per sé. Ma in fondo ogni principessa, anche la meno forte, ha qualcosa di forte: restavo incantata dalla bravura di Biancaneve con gli animaletti del bosco, e potrei incantarmi ancora davanti alla gentilezza di Aurora con le zie fate, e amo il broncio di Elsa, la determinazione di Ariel, la rabbia di Merida, la travolgenza di Rapunzel. Ogni tassello compone la storia. Ma a Cenerentola non riuscivo ad affezionarmi, nonostante i topolini. I lavori domestici a cui non si ribellava mi facevano innervosire. Non portare la colazione a letto alle sorellastre, le urlavo. Ognuna porta con sé le sue principesse, ed è interessante metterle tutte insieme, compresa Lady D, compreso “Sex and the City”, per capire che cosa ci è successo e quanto è bello raccontarlo.