lettere rubate
Marina Cvetaeva a Rilke: lettere sulla poesia e sul non incontrarsi mai
La corrispondenza tra la scrittrice russa e il poeta tedesco restituisce la storia di tre vite immaginarie
Rainer Maria, niente è perduto. L’anno prossimo (1927) verrà Boris, e Le faremo visita, ovunque lei sia. Boris lo conosco assai poco, e lo amo, come si può amare solo chi non si è mai visto o non è mai esistito. Non è così giovane, ha 33 anni credo, ma ha un’aria da ragazzo. Non somiglia per nulla a suo padre (il meglio che un figlio possa fare). Credo solo ai figli di madre. Anche Lei è un figlio di madre. Un maschio in linea femminile, e per questo così ricco. E’ il primo poeta di Russia. Lo so io e lo sa qualcun altro, gli altri aspettano che sia morto per capirlo.
Marina Cvetaeva, “L’oceano leggeva con me - Lettere a Rilke sulla poesia”, (L’Orma)
Nel 1941, in luglio, Marina Cvetaeva accettò di essere evacuata, con il figlio Georgij, a Elabuga, cittadina tartara dove si suiciderà poco dopo, il 31 agosto. Ma prima di lasciare Mosca, sconfitta e emarginata, portò personalmente un plico alle edizioni letterarie di Stato. Sette lettere di Rilke, alcune foto che Rilke nel 1926 le aveva mandato, insieme alle copie autografate dei suoi libri, e undici lettere di Boris Pasternak.
La storia della poesia, e non solo, la storia di tre vite immaginarie attraverso le lettere. Cvetaeva e Rilke non si incontrarono mai, lui era indebolito dalla malattia, ma si scrissero tutto, con molta passione. Lui le aveva mandato, su richiesta di Pasternak, le Elegie Duinesi e i Sonetti a Orfeo, entrambi con dedica. Lei gli rispose con una lettera-fiume, una lettera-incendio: “Cosa voglio da te, Rainer? Niente. Tutto. Voglio che tu mi permetta in ogni istante della mia vita di guardarti come a una montagna che mi protegge (un angelo custode di pietra!). Fino a prima di conoscerti, ero libera di farlo, ma ora che ti ho conosciuto mi occorre il tuo permesso. Perché la mia anima è bene educata”. Lui le rispose dopo pochi giorni: “Marina, io ho davvero abitato la tua lettera!”. Lei gli scriveva in tedesco, lingua che aveva imparato da bambina, aveva trentaquattro anni e grandi speranze, grande fervore e vera povertà. Una vita difficile riscaldata dalle parole.
Quell’estate fu tutta per Rilke, anche nel tormento, e per l’improvviso silenzio di Pasternak, che forse aveva capito tutto. Cvetaeva sognava nella scrittura, diceva a Rilke: dobbiamo incontrarci da qualche parte. “In un piccola città, Rainer. Per tutto il tempo che vuoi: per il poco tempo che vuoi. Te lo scrivo così, molto semplicemente, perché so che mi amerai molto, e anche che ti darò molto gioia”. Il passato è ancora davanti a noi, ripeteva, perché sapeva che era tutto impossibile, tutto alla fine. Ma si sedeva e scriveva: ti amo, stanotte dormo con te, continua a baciarmi. Lui sul finire dell’estate smise di rispondere, e alla fine dell’anno morì. Lei gli scrisse di nuovo: mi ami ancora?