Lettere rubate
Le illuminazioni dei racconti di Valeria Parrella e le lacrime di caffè
E la capacità divinatoria di illuminare gli angoli, individuare proprio quel momento, quel particolare sul quale muovere il mondo interiore
Invece dio la indicò, una domenica alle 13.54, proprio mentre suo marito caricava la lavastoviglie, suo figlio si era chiuso nella cameretta e lei si era appena lavata le mani dalle vongole e dal peperoncino e, ovviamente, perché è dio è grande ma contro il peperoncino non può nulla, ovviamente, si era passata la mano sugli occhi.
Valeria Parrella,
“Piccoli miracoli e altri tradimenti”
(Feltrinelli, 110 pp.)
I piccoli miracoli accadono in un istante, e se sei capace di riconoscerli possono trasformarsi in un romanzo oppure diventare un racconto, che ha la forma, appunto, di un piccolo miracolo. Uno scrigno in cui tutto è compiuto, ma in cui a volte si cerca un doppio fondo, un passaggio segreto che porti ancora più in là, che ci dica che cosa succederà, dopo, alla donna che ha smesso di tingersi i capelli. La donna che si innervosisce quando il marito mette i segnaposto a tavola e al suo posto scrive: “Mamma”. Con l’orlo svolazzante della emme.
Valeria Parrella ha la capacità divinatoria di illuminare gli angoli, individuare proprio quel momento, quel particolare sul quale muovere il mondo interiore ma anche gli alberi, la piazza, la spiaggia, il mare. O il bar dove la barista ogni giorno cerca un motivo con sé stessa per non fare entrare Rosaria l’ubriacona, un motivo diverso da quelli che le elenca il padrone del bar, un motivo che le levi la pena dal cuore per quella ingiustizia. Dodici racconti, una misura agile per dire quante illuminazioni ci sono nelle nostre giornate, come una candela accesa proprio in quel punto, in quel letto, o con la guancia appoggiata sul vetro del tavolo della cucina. O sullo stradone brutto, dove nessuno sorride mai. Da Mosca più balena, a Troppa importanza all’amore, e poi ancora fino a qui, fino a Piccoli miracoli e altri tradimenti, Valeria Parrella gira il palmo della mano e ogni volta sul suo palmo c’è una perla.
Fiorella, che passeggia nei sogni di tutti con le sue gambe bianche leggermente venate di azzurro, più bella di una statua di Canova, morta come il marmo eppure viva come una statua. E il ragazzo dell’enoteca che sale a consegnare il vino e ha una particella lunare negli occhi, che ce l’hai o non ce l’hai. Sono piccole luci, lacrime di caffè, dolori che passeranno. “E mi aveva fatto ridere. Ridere è come sollevarsi tutt’assieme sulle cose, dimenticare gli accidenti, perdersi senza paura”. Leggere questi racconti provoca la bella sensazione di sollevarsi sulle cose e poi planarci di nuovo sopra, con una misura nuova.