Lettere rubate
“Uomini” di Carmen Llera Moravia: catalogo d'amore e noncurante libertà
Pubblicato per la prima volta nel 1993, mi fece venire una gran voglia di conoscere la donna di questo romanzo. Una donna che entra nella seduzione prendendosi gioco degli uomini e di sé stessa, senza alcuna malevolenza
Eri invecchiato e appesantito, l’alcol aveva gonfiato quel corpo sottile, non ti desideravo più, hai criticato il mio stile di vita, l’appartamento troppo borghese, dicevi che avevo tradito i miei princìpi, continuavi a lodare il vostro regime socialista, ti trovavo noioso e banale, ti ho pregato di prendere la chitarra e di rientrare in albergo.
Carmen Llera Moravia, “Uomini” (Bompiani, 110 pp)
Trentun anni dopo torna in libreria la malinconica, erotica, noncurante libertà di Uomini di Carmen Llera Moravia (“diversi, tanti, forse troppi, incontrati ovunque, casualmente, amati o semplicemente guardati…”). Un catalogo di corpi e a volte forse perfino d’amore, sempre con l’occhio lungo dell’ironia, che sopra ogni cosa teme la noia. Pubblicato per la prima volta nel 1993, mi fece venire una gran voglia di conoscere la donna di questo romanzo. Una donna che entra nella seduzione prendendosi gioco degli uomini e di sé stessa, senza alcuna malevolenza, senza alcun pregiudizio. Ma anche senza pietà, se lui ha le labbra troppo umide, le scarpe troppo di vernice, se scrive “lunghe lettere a una donna sposata che passa l’estate a Urbino”, se pubblica brutti libri, se crede di essere l’unico. In questa rassegna c’è spazio per lo stupore, per l’estasi, per il prosciutto crudo di Parma e per le avventure di una ragazza che cerca il senso di vivere e intanto pensa alla morte. Salvata dalla curiosità per gli esseri umani, dal gioco della seduzione, dall’amore che deve prima di tutto offrire divertimento. “La tua fidanzata ticinese ha avuto un esaurimento nervoso e tu non ti sentivi nemmeno in colpa. Ti sei forse offeso quando ho sposato un altro”.
Uno dei frammenti si chiude così, e molti amori si chiudono così, con un cambio di scena o di Vespa o con un biglietto lasciato sul tavolo all’uomo monotono e crudele, che dopo tre anni ha deciso di vivere a Roma per stare con lei: “Troppo tardi, sono innamorata di un altro”. Una riga più sotto: “Non era vero”. Ma a tutti gli uomini la donna di questo romanzo, che a volte è Carmen Llera e a volte no, si rivolge con un affettuoso: tu. Tu, uomo che a volte sembravi perfino attraente, pieno di segreti interessanti e di notti lunghissime. Ma poi: “Hai attraversato l’oceano e sposato la tua infermiera”. Ci sono momenti allegri, comici, ridicoli, non c’è mai niente di osceno né di risentito. E c’è un breve capitolo che dice tutto dell’inesorabilità della vita adulta: “Non sono mai stata al cimitero, dopo. Avevi ragione tu quando dicevi: ‘Nessuno ti amerà mai come me’. Nessuna lingua ha saputo darmi tanto piacere, nessuna mano tanto conforto né uno sguardo mi ha mai divertito tanto. Dove sei?”.