Foto ANSA

Lettere rubate

Un libro a cui credere. Matteo Bussola e la voce di un padre smarrito

Annalena Benini

Alternandosi tra momenti drammatici, buffi e talvolta ricchi di paura, l'opera affonda nella fragilità degli adolescenti e dei loro genitori, generazione di adulti che ha cercato di non ripetere gli errori dei loro padri e che si chiede: che cos’è successo? Perché non sei felice?

“Farsi del male è un modo per avere un controllo?”, ho chiesto la prima volta che siamo stati in questo posto. “Farci del male è la prima forma di controllo che abbiamo tutti”, mi ha risposto il dottore Matteo Bussola, “La neve in fondo al mare” (Einaudi Stile Libero, 182 pp)

Credo a questo libro. Credo a ogni tristezza, sbadataggine, lacrima trattenuta e frase sbagliata di questa storia. Credo al rimpianto dell’età felice dell’infanzia da parte di una madre e di un padre e credo allla rabbia che provoca in un adolescente sentirselo dire. “Vedi? Tu vuoi indietro qualcosa. Sei solo lì ad aspettare che questo finisca. Come se il mio stato attuale non fosse che una fase, un passaggio, una specie di menzogna. Ma non lo capisci che era prima, la bugia?”, dice Tom al padre Tano. Tom è stato ricoverato, perché nel tentativo di perdere altro peso ha ingerito roba che ha mandato il suo corpo in shock. Tom è stato ricoverato, e il padre è lì, dentro la stanza con lui e ancora alla ricerca di un posto, come quando è nato che un posto per lui non c’era perché un posto per i padri non c’è mai. Tom risponde con qualche mugugno, chiede se la mamma ha telefonato, parla con gli altri ragazzi e ragazze che arrivano in quel reparto di neuropsichiatria infantile. Un ragazzino di undici anni che se perde a carte diventa molto aggressivo, una ragazza che per scomparire mangia di tutto, un’altra che si taglia le braccia e le gambe.

E i loro genitori: affettuosi, sofferenti, eccessivi oppure timidi, smarriti, ancora incapaci di soppesare le parole. E’ una colpa? Matteo Bussola ha scritto un libro che affonda nella fragilità degli adolescenti e dei loro genitori, generazione di adulti che ha cercato di non ripetere gli errori dei loro padri e che si chiede: che cos’è successo? Perché non sei felice? “Perché io sono fatto così. E’ ora che ti abitui”. Ci sono momenti altamente drammatici, momenti buffi, momenti tristi, momenti in cui la paura non è dentro, la paura riguarda l’uscire fuori. “Siamo ricoverati in due non perché io sia il figlio malato e io il genitore che non può abbandonarlo, ma perché questa cosa sta divorando entrambi. Siamo ricoverati insieme, perché ciò che consuma la sua carne consuma pure la mia”. Una parvenza di figlio, una parvenza di padre. La voce intima di questo padre riesce a essere universale, incerta com’è, incapace com’è di fare la cosa giusta, di dare la risposta giusta. Se un adolescente leggesse questo libro direbbe: mi fai un po’ pena, bro’, ma ci sta. Se un adolescente leggesse questo libro considererebbe suo padre o sua madre o entrambi in modo diverso. Non Dio, come nell’infanzia, non un coglione, come si sente adesso. Una persona che ha fatto degli sbagli, credendo di evitarne altri, ma che ha scoperto la neve in fondo al mare.        

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.