Fuoco alle polveri, ignoranza e populismo. Bruti Liberati e il protagonismo dei pm
Al direttore - Subito referendum! Su Marte acqua pubblica.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - La lotta al rancore che domina la politica dei nostri giorni andrebbe condotta in modo il meno possibile rancoroso. Impresa nella quale vedo che tu e il tuo giornale fate del vostro meglio. Togliere di mezzo l’idea del “nemico” è sempre il modo migliore per disarmarlo. Ma questa stagione populista pullula di sospetti, dicerie e intimidazioni e lì, a quell’estremo, vorrebbe portarci tutti. C’è una frase di Manzoni a questo proposito che andrebbe stampata a caratteri cubitali in questi tempi un po’ paranoici. “La collera aspira a punire… le piace più di attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi”. Manzoni parlava della peste, e di come il populismo del seicento si trovasse a cavalcarla e fronteggiarla. E noi siamo appunto lì, a cavallo tra l’indignazione che questo nuovo corso politico suscita in molti di noi e la consapevolezza che anche quel corso andrebbe affrontato senza dar fuoco a troppe polveri. Ci riusciremo? Mi pare una mediazione assai difficile anche per chi – come me, democristianamente – affida alle mediazioni più acrobatiche il compito di salvare la Repubblica.
Marco Follini
William Gibbs McAdoo, segretario al Tesoro degli Stati Uniti a inizio Novecento, sosteneva che fosse impossibile sconfiggere un ignorante durante un litigio. La lezione vale anche oggi. Contro la politica del rutto non servono altri rutti. Serve dimostrare con la forza tranquilla del buonsenso che danni può fare al popolo la peste populista.
Al direttore - Il sistema giudiziario “merita la promozione” (Cassese, il Foglio 24 luglio). E’ la corretta premessa per affrontare gli aspetti critici. I magistrati sono consapevoli dell’impatto sulla collettività, sulla politica, sull’economia delle loro iniziative. Il “protagonismo” ricercato di taluni pm è una patologia, ma vi è un “protagonismo necessitato”. Il presidente Mattarella il 6 febbraio 2017 osservava: “I provvedimenti adottati dalla magistratura incidono, oltre che sulle persone, sulla realtà sociale e spesso intervengono in situazioni complesse e a volte drammatiche, in cui la decisione giudiziaria è l’ultima opportunità, a volte dopo inadempienze o negligenze di altre autorità. Per questo l’intervento della magistratura non è mai privo di conseguenze. La valutazione delle conseguenze del proprio agire non può essere certo intesa in alcun modo come un freno o un limite all’azione giudiziaria rispetto alla complessità delle circostanze. E’, comunque, compito del magistrato scegliere, in base alla propria capacità professionale, fra le varie opzioni consentite, quella che, con ragionevolezza, nella corretta applicazione della norma, comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli interessi coinvolti”. L’obbligatorietà dell’azione penale non esime il pm dal misurarsi con la responsabilità per le scelte, tra alternative egualmente legittime, che percorrono tutta la sua attività, pur se svolta nella osservanza delle regole e delle garanzie del processo. Il richiamo di Cassese a “darsi carico delle implicazioni occupazionali, produttive, sociali, almeno sotto il profilo del rispetto dei tempi” è il pane quotidiano del pm. Ma ove mostri di voler “darsi carico” non mancano le tifoserie che lo accusano di lassismo e di pavidità. Emblematica la vicenda di Expo 2015 ripercorsa nel Bilancio di responsabilità sociale 2014/2015 della procura di Milano: “I tempi della giustizia non sono i tempi dell’economia e delle attività imprenditoriali, ma la giustizia può cercare di adottare tutte le misure organizzative affinché questa distanza si riduca. La Procura di Milano ha svolto il ruolo che le compete di accertamento rigoroso dei fatti di reato. La magistratura penale non deve farsi carico di “compatibilità”, ma può e deve operare con scelte organizzative e di strategia di indagine che assicurino la massima celerità, mettendo le altre articolazioni delle istituzioni in condizione di adottare tempestivamente i provvedimenti di loro competenza”. Tempi della giustizia. Vi sono sacche di scarso impegno, ma vi sono limiti oggettivi della struttura non superabili con il volontarismo: carenza di personale amministrativo, irrazionalità della distribuzione dei magistrati e inutili formalismi nelle procedure. Oggi vi è il sentore di cedimenti alla demagogia localistica di chi vorrebbe riaprire tribunali soppressi, quando il problema è esattamente il contrario: superare i limiti della riforma Severino, procedendo a ulteriori accorpamenti di tribunali e anche di corti di appello.
Edmondo Bruti Liberati
Ricordiamo bene quel discorso di Sergio Mattarella e oltre al passaggio citato da lei ce ne sono altri che ci sembrano attuali. Primo: cari magistrati, “cercate di rifuggire anche da quel sottile condizionamento, talvolta inavvertito, che deriva dalla percezione dell’importanza del proprio ruolo”. Secondo: cari magistrati, “equilibrio, ragionevolezza, misura, riserbo sono virtù che, al pari della preparazione professionale, devono guidare il magistrato in ogni sua decisione” e “lo spirito critico verso le proprie posizioni” e “l’arte del dubbio sorreggono sempre una decisione giusta, frutto di un consapevole bilanciamento fra i diversi valori tutelati dalla Costituzione”. Il “protagonismo” ricercato di taluni pm è una patologia, come ricorda lei, ma per quanto “necessitato” il protagonismo di un magistrato porta con sé un problema non da poco: l’impressione che per quel magistrato parlare con le sentenze non sia sufficiente senza giocare con il processo mediatico. Senza ripartire da qui non sarà possibile combattere i cedimenti alla demagogia di cui parla lei. Grazie.
Al direttore - Curiosando sul web, si scopre che già da qualche anno la rete è piena di articoli sul tema degli assegni sociali goduti da immigrati anziani arrivati in Italia con l’istituto del ricongiungimento familiare. In gran parte sono articoli molto parziali, quando non vere e proprie bufale, di quelle che però attraggono lettori. Non è un caso che Matteo Salvini abbia fiutato l’aria e ci si sia tuffato di testa, denunciando truffe, brogli e favoritismi, per giungere due giorni fa a proporre di tagliare queste pensioni sociali agli immigrati e di usare i risparmi per irrobustire le pensioni minime degli italiani. Come al solito, il leader della Lega sfrutta e alimenta la disinformazione per generare consenso e promuovere una visione razzista della società. Qual è la verità sulla faccenda? Al momento abbiamo circa 55 mila beneficiari di questo strumento assistenziale, un numero esiguo. Percepiscono 580 euro al mese, per una spesa complessiva per l’Inps poco superiore ai 400 milioni di euro all’anno. La legge che permette la pensione sociale per gli extracomunitari ha vincoli molto seri, contrariamente a quanto dicono le tante fake news che circolano: bisogna avere almeno 65 anni e 3 mesi di età; residenza in Italia da almeno 10 anni; sospensione dell’assegno se si sta via dall’Italia per più di un mese, salvo gravi ragioni di salute; sospensione in ogni caso dopo un anno di assenza. Di tanto in tanto, c’è qualcuno che truffa o che prova a truffare (come fanno purtroppo anche alcuni italiani con le pensioni di invalidità, ad esempio) ma viene prontamente perseguito. Come è giusto che sia: chi sbaglia paga, sia quando si percepisce illegittimamente un assegno sociale italiano mentre si vive in Africa, sia quando si usano per finalità illecite 49 milioni di rimborsi elettorali. Ma questa è un’altra storia. La cifra complessiva di 400 milioni di euro di assegni sociali per gli anziani extracomunitari non è elevata, se pensiamo al “tesoretto” di contributi pagati e mai goduti da tanti lavoratori stranieri che lasciano l’Italia prima dell’età della pensione (valgono più di 300 milioni all’anno), oppure al fatto che tra contributi pagati dagli stranieri e pensioni ricevute il saldo per l’Inps è in attivo di 5 miliardi l’anno. Quella del rapporto tra immigrati e Inps è una partita in cui ci guadagna l’Inps, cioè lo stato italiano. Ma Salvini decide che le fake news sull’argomento sono troppo ghiotte per non cavalcarle ed evocare una vera e propria legge razziale a uso e consumo dei social network.
Gianfranco Librandi, deputato del Pd