Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Gli insulti a Mattarella dei due uomini Rai come il trailer di un film elettorale

Le lettere al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Occupati in calo. Stampiamoli in 3D!

Giuseppe De Filippi

 

Il tasso di occupazione scende a giugno al 58,7 per cento (-0,1) e il tasso di disoccupazione sale a giugno al 10,9 per cento (+0,2 punti). La ragione per cui si parla solo di immigrazione è che di economia in questo governo è meglio non parlarne.

 

Al direttore - In Sicilia questi sono i giorni della “Lupa”. Donatella, mi sta aspettando a Siculiana. C’è un gran mare a Giallonardo e il maestrale. Fa caldo. Oggi, martedì 31 luglio, si insedia il nuovo cda della Rai. Non parleranno di linee per il piano industriale, non si confronteranno su come sostenere il primato che gli lasciamo, non proveranno a vedere lontano. Hanno subito da sbrigare un grosso guaio. A presiedere sarà Marcello Foa che tra oggi e domani si dice cadrà. Loro i vincitori sono portati a non considerare i numeri, le regole e la presenza di altri. Così non solo non andranno lontano ma produrranno un disastro. Accade, sta accadendo. Povera Italia. “Alla fine andrà tutto bene, perché se non andrà bene vuol dire che non è la fine”. Ha una bella espressione Sonny Kapoor il giovane che a cavallo della piccola moto rassicura la fidanzata. E’ l’ultima scena del film. “Marigold Hotel”. Di più non è dato sapere. Il fascino del suo Hotel cederà alla speculazione magari lasciando a Sonny i mezzi per campare, amare, allevare figli? O tutta la fatica, la scaltrezza, il coraggio, verranno cancellati con un colpo di spugna e i poveri torneranno ancor più poveri ? Il gioco è questo. L’alternanza fra tutti gli sforzi necessari a crescere e tutte le testate nei muri del labirinto dal quale è impedito uscire. Sembra un destino ed invece non lo è. E’ la condizione, la sorte, il risultato. Si è letto poco fa, noi ottimisti lo si dice e lo si crede : al mondo vivono un miliardo di poveri in meno. Cioè negli ultimi tempi un miliardo di esseri umani sono fuori dalla povertà più assoluta. Però non è che dicendo questo le nostre periferie siano posti più piacevoli, più sicuri? Non è così. Tutto vero ma tutto simile alla statistica del pollo a testa. Un povero disgraziato umiliato nella sua persona, abbandonato al nulla perpetuo vive la sua condizione 24 ore su 24, giorno dietro giorno, per tutto il tempo che gli resta da vivere. Anche i pensieri che hai quando scrivi debbono temere l’uscita sbagliata. Occhio a dove metti i piedi fratello. Un po’ di parole per dire che la fine altro non è che un nuovo inizio e non mi venite a dire che lo sapevate, che “naufragium fecit, bene navigavi” come mi scrisse ormai tanto tempo fa un amico girandomi la citazione di Erasmo da Rotterdam, è qualcosa di più di un modo di intendere perché è un modo di essere. Le buone ragioni se non trionfano galleggiano. E meno male. Qualche barcone da salvare resta e in quel fondo di umanità germoglia il futuro migliore. Nel frattempo a terra è successo di tutto. Loro hanno in mano il paese. Il mio paese. Non c’è bisogno che scenda alla fermata del Bronx prima che buone leggi, interessi comuni e condivisi, lo restituissero alla convivenza civile. Va riletto il bel libro di Marinella Sclavi: “La signora va nel Bronx” (Mondadori, 2006). Qui stanno rubando le corde agli ascensori, vendendo gli infissi a un tanto al chilo, spacciando roba da matti come se fosse oro colato. E non è uno scherzo. Ora arriva il punto: ma com’è possibile che si sia giunti a questo? Qualcuno ha visto sacche di resistenza? Ha capito chi si proponesse di fermare l’orda per lo meno sotto le finestre di casa? Io che c’ero non mi sono accorto di nulla – i talk, le fake… si va be’ ma mai fino a questo punto – fino a che non si è spenta la luce ho continuato a tessere le lodi di un’Italia in cui il costo della politica diminuiva sul serio, la cui intenzione di mettere a rendita i giacimenti paesaggistici e culturali, di trarre beneficio dall’ingegno manifatturiero, di trasformare in plus i gap dell’industria siderurgica, di profittare del prestigio e del risultato dell’industria meccanica, e via dicendo, così elencando. Non mi sono accorto che metà del mio popolo si è addormentato e l’altra metà si è fatta terreno di gioco. In quel campino in cui da ragazzi correvamo dietro a un pallone non curanti delle ginocchia sbucciate, i fischi hanno battuto gli applausi. Di questo sarebbe bene ci rendessimo conto e uno, Matteo Renzi, spero se ne renda conto più di altri. Se Matteo Salvini con il 17 per cento dei voti ha in mano la testa dei sondaggi dopo che ha rovesciato il tavolo e issato il vessillo della morte nera, noi abbiamo qualche responsabilità. Da condividere? Certo, può anche essere concesso. Ma dopo che il paese ha subìto il danno che ora non può evitare, il minimo sono le scuse, ma tante, forti, sincere. Il minimo è un cambio di passo, una sostituzione di schema, il minimo è riprendere con virulenza ad abitare i luoghi che ci hanno voltato le spalle perché noi eravamo establishment e correndo per produrre quanto siamo riusciti a fare abbiamo lasciato la nostra casa, la nostra gente e qualche buona pratica in balia di se stessa. In quel luogo è caduta la chiave. Marcello Foa nasce lì. C’era anche prima. Pare che non ce la faccia, pare che si possa far peggio, pare che si possa cogliere l’occasione per compensare la Meloni che attende e freme per un passaggio. La Rai è sotto gli occhi di tutti è una preda. La Rai nei fatti offre una inerzia che la fa sembrare di un altro paese. Il Tg1 l’altra sera che apre con il servizio sul ferimento di Daisy Osakue e mostra Conte e Trump che si danno i bacini come terza notizia merita un picchetto piantato a terra che misura la distanza tra noi e loro. Siamo umani, messi male ma umani. La Rai perché torni a essere il formidabile attore dell’emancipazione degli italiani, la grande pedagoga, avrà il suo bel daffare e le nostre unghie mi pare si siano spezzate. Comunque continueremo a marciare che è sempre preferibile a marcire. Grazie.

Guelfo Guelfi, ex cda Rai

 

Nella storia della scelta del presidente della Rai, c’è un punto che viene trattato come se fosse solo folclore e che coincide con alcune parole usate in un passato piuttosto recente da Marcello Foa e da Giampaolo Rossi su Sergio Mattarella. Non è un caso che i due presidenti possibili della Rai sovranista abbiano usato parole infamanti contro il presidente della Repubblica. Quando Foa ha affermato di provare “disgusto” per il capo dello stato lo ha fatto negli stessi giorni in cui Rossi definiva il capo dello stato “un fantasma”, un “irresponsabile”, un autore di un golpe (sul suo blog, a chi scriveva che il presidente era “sul filo del golpe” Rossi rispondeva che “quel filo si è spezzato”). E quel giorno non era un giorno come gli altri: era il giorno in cui il presidente della Repubblica scelse di dire di “no” al governo del cambiamento a trazione anti euro, a trazione Savona. Erano le ore in cui Di Maio urlava in piazza “impeachmènt”, “impeachmènt” ed erano le ore in cui di fronte all’opinione pubblica si andò a manifestare la natura più pura del populismo anti sistema: quello che considera le istituzioni del paese non sacrificabili solo a condizione che quelle istituzioni stiano dalla parte dei populisti. Può sembrare un dettaglio ma è la chiave di tutto: il populismo considera l’architettura della democrazia sacrificabile nel momento in cui i garanti di quell’architettura fanno delle scelte non gradite ai populisti. E se gli azionisti di maggioranza del governo vogliono a tutti i costi un sovranista, anti sistema, anti euro e anti Mattarella alla presidenza della più grande azienda culturale del paese significa solo una cosa: la messa in stato di accusa delle massime autorità del paese non è una tentazione archiviata, è solo rinviata – magari alle prossime elezioni.

 

Al direttore - Leggiamo sul Suo giornale le dichiarazioni del dott. Giuricin riferite alla perdita consuntivata nel primo trimestre 2018 che, secondo quanto riportato, sarebbe in peggioramento di ben 185 milioni di euro rispetto alla corrispondente del 2015. Il paragone non è corretto. Purtroppo non tutti sanno leggere un bilancio, ma chi lo sa fare avrebbe notato quanto riportato in quello del 2015 (documento pubblico). Il bilancio 2015 del gruppo Alitalia evidenzia infatti – non una sola volta, ma in più passaggi – come il primo semestre 2015 fosse stato caratterizzato da proventi di carattere non ricorrente per 194 € mln legati alla cessione della partecipazione in Alitalia Loyalty. E’ di tutta evidenza che in assenza dei rilevanti benefici ottenuti dalla cessione della partecipazione in Alitalia Loyalty, il risultato del primo semestre del 2018 sarebbe stato migliore rispetto al 2015.

Sempre con viva cordialità.

Ufficio Stampa Alitalia

 

Risponde Andrea Giuricin. Cara Alitalia, sappiamo bene che in un articolo non sia possibile fare un’analisi approfondita. Purtroppo non conosciamo le voci non ricorrenti nel bilancio del primo semestre del 2018 e per fare un confronto si è dovuto utilizzare l’ultima riga di bilancio, quella relativa alle perdite nette sia per il 2015 che per il 2018. Abbiamo anche non evidenziato altri punti nell’analisi, quali ad esempio un costo del debito inferiore per la nuova Alitalia, sapendo che questa voce non dipendeva dai Commissari. Siamo convinti che i Commissari stiano facendo tutto il possibile, ma per fare un vero confronto di costo sarebbe bene anche sapere i dati di produzione (ASK), di accantonamenti per le manutenzioni, etc... Al fine di fare un’analisi completa e approfondita, come contribuenti di Alitalia, saremmo lieti di avere piena disponibilità e trasparenza di questi dati al fine di fare un lavoro ancora più preciso di analisi e confronto (dato che le altre compagnie che operano e sono quotate mettono piena disposizione questi dati).

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