Sfida da talk-show sul dl dignità. La cultura del sospetto e il caso Consob

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 3 agosto 2018

Al direttore - Il decreto Di Maio, dall’autore definito “dignità”, è un provvedimento nato vecchio, frutto di una concezione superata del mercato del lavoro, ancora diviso in lavoro stabile e non stabile. Sfido chiunque a trovare, in questo scorcio di 2018, un altro paese al mondo il cui governo pensi di creare lavoro aumentando i costi per chi assume e costringendolo a giustificare le ragioni per cui vuole prendere un lavoratore. Nell’èra dell’automazione, la sfida dei governi è favorire invece l’aumento dei salari per i lavoratori, la loro partecipazione agli utili e ai guadagni di produttività dell’automazione (perché non ne possiamo beneficiare solo noi imprenditori). Servono misure che riducano a 6 ore al giorno l’orario di lavoro a parità di remunerazione, che in prospettiva consentano di andare in pensione all’età che si vuole ma solo sulla base di quanto si è contribuito. Mi passi la cattiveria: questo decreto è invece il frutto della diffidenza verso le novità e le complessità tipica di chi nella vita non ha mai dovuto rischiare e assumersi vere responsabilità, ma è soprattutto il risultato di chi è vecchio dentro, nonostante la giovane età anagrafica.

Gianfranco Librandi, deputato del Pd

Il decreto dignità ci permette di misurare quanto il governo gialloverde sia un pericolo per l’economia italiana. Ma tra qualche settimana il decreto dignità ci darà la possibilità anche di misurare qualcosa di altrettanto importante: quando i programmi televisivi avranno la forza di sfidare il pensiero unico populista dando spazio in prima serata ai lavoratori diventati precari a causa di questo governo e agli imprenditori messi in difficoltà da un governo che contro le imprese ha scelto di usare un metodo punitivo. Fino a poche settimane fa c’è stato spiegato, soprattutto nei talk-show, che la precarietà era creata dalla flessibilità. Sarebbe bello che oggi venisse raccontato che la precarietà viene creata da chi non capisce che combattere la flessibilità significa combattere l’occupazione.

  


 

Al direttore - Come giudicare il caso dell’aspra contestazione, da parte di diversi settori della maggioranza, della nomina di Mario Nava, a diversi mesi di distanza dell’insediamento al vertice della Consob? La nomina ha passato il vaglio di quattro autorità: la Commissione europea, il governo italiano che ha deliberato la nomina, il Quirinale, essendo l’atto conclusivo del procedimento sottoscritto e non platonicamente dal presidente della Repubblica e, da ultimo, la Corte dei conti che ha registrato la nomina. E’ da ritenere fondatamente che in tutti questi passaggi vi sia stato un vaglio attento da parte dei rispettivi uffici giuridici anche dello status di Nava, che fruisce del “distacco” dalla Commissione e non dell’aspettativa, alla quale non è uso ricorrere da parte della stessa Commissione. Il distacco non certo provoca conflitti di interesse, dovendo Nava rispondere, al pari degli altri commissari dell’Authority dei quali è primus inter pares, della conformità della condotta alle norme vigenti. La risposta che ha dato il ministro Fraccaro a un question time con la quale ha annunciato che il governo ha chiesto al collegio di vertice della stessa Consob di conoscere le sue definitive determinazioni su eventuali incompatibilità di Nava (nascenti, ovviamente, dall’utilizzo del distacco e non dall'aspettativa), e ciò pur dopo l’indicato procedimento di nomina, sfiora il ridicolo; farebbe impallidire anche il manzoniano Azzeccagarbugli; se mai ha uno scopo, questo mira a mantenere in piedi, per ora pilatescamente, una vicenda creata ad arte che deve distrarre da voglie lottizzatrici della maggioranza che si manifestano in altri versanti molto chiaramente, sfigurando in peggio, per il modo in cui si sta sviluppando il “metodo delle spoglie”, anche di fronte alle spartizioni “cencelliane” della Prima Repubblica. E le invettive contro la casta e la partitocrazia? E le questioni vere della regolamentazione e del controllo dei mercati e delle società? Come tutti i salmi finiscono in gloria, queste prediche si apprestano a finire con classiche occupazioni partitocratiche. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

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