La criminalizzazione del dissenso spiegata con le bolle. L'opposizione che continua a farsi del male
Al direttore - Nel 1927 Francesco Ruffini pubblicò un aureo libretto: “Il principio maggioritario”. Il fascismo allora si era definitivamente consolidato come regime, e il grande giurista prese carta e penna per ricordare che l’idea secondo cui l’opinione della maggioranza deve comunque prevalere su quella della minoranza nasconde uno dei problemi più difficili da risolvere per la mente umana. Di questa complessità, gli inquilini attuali di Palazzo Chigi sembrano non avere la minima consapevolezza. Per essere più precisi se ne infischiano, come da ultimo ha mostrato la vicenda della Rai. Perché Salvini e Di Maio sono ormai convinti che, grazie al largo consenso di cui godono, possono fare il bello e il cattivo tempo. In questo senso, non sono che pacchiani apologeti dell’onnipotenza della maggioranza, tesi che appartiene al filone rousseauiano e giacobino. Il pensiero politico liberale l’ha sempre combattuta, poiché mette in discussione i fondamenti dello stato di diritto (divisione dei poteri in primis). Il conflitto tra liberali e democratici si è svolto, durante l’Ottocento e in parte anche durante il secolo scorso, proprio lungo questa linea di confine. Per i primi, la “volontà buona” era esclusivo appannaggio delle élite colte e proprietarie; i secondi davano invece per scontato che la “volontà generale” si generasse col voto di tutti. La storia ha smentito entrambe queste concezioni. Gli elitisti adottarono il motto di Tucidide, per cui i forti facevano quel che potevano e i deboli pativano quel che dovevano. Mentre i plebisciti napoleonici, fallimentare esito della rivoluzione del 1848, dimostrarono in modo lampante che il suffragio universale poteva sostenere anche una tirannia. In seguito, la marcia di avvicinamento tra liberalismo e democrazia è stata lenta e piena di equivoci; e il socialismo vi ha giocato, non senza contraddizioni, un ruolo cruciale. Alla fine di questo faticoso cammino è stato tagliato il nastro della liberaldemocrazia, che è il nocciolo del costituzionalismo moderno. Nella odierna situazione italiana è pertanto corretto e per niente fazioso gettare l’allarme sul grave rischio che i comportamenti e le scelte di Lega e Cinque stelle fanno correre al paese, sospingendolo verso un catastrofico passo indietro. Contrapporre all’uso crudo e rozzo della forza della maggioranza, a quello cioè che può ben definirsi giacobinismo di destra, una difesa della nostra civiltà repubblicana non è certo sufficiente per riconquistare le periferie urbane, la simpatia dei giovani precari o il favore dei ceti meridionali. E’ altrettanto vero, però, che senza una reazione energica allo “scasso populista” delle istituzioni rappresentative (di cui il truce lombardo e il gioviale campano sono entrambi e in pari misura responsabili), non si costruisce un’alternativa di governo. Eppure nel Pd c’è ancora chi rimpiange di non essersi consegnato ai suoi carnefici dopo il 4 marzo. Si vede che la sindrome di Stoccolma esiste anche in politica.
Michele Magno
Tutto giusto. Ma se mi consenti, caro Michele, la novità vera oggi non è che ci sia una dittatura della maggioranza ma è che la maggioranza, come ha scritto ieri il nostro Giuseppe Sottile, sia predisposta in modo naturale a criminalizzare il dissenso e a trasformare chiunque non sia immerso nel mainstream populista in un nemico del popolo, non in un semplice avversario politico. Sono i rischi di quella democrazia delle bolle magnificamente descritta da Barack Obama alla fine del suo mandato. Rinfreschiamoci la memoria: “Per troppi di noi è diventato più sicuro ritirarsi nelle proprie bolle, circondati da persone che ci assomigliano e che condividono la nostra medesima visione politica e non sfidano mai le nostre posizioni. E diventiamo progressivamente tanto sicuri nelle nostre bolle, che finiamo con l’accettare solo quelle informazioni, vere o false che siano, che si adattano alle nostre opinioni, invece di basare le nostre opinioni sulle prove che ci sono là fuori”. La società della condivisione genera mostri. E il mostro più pericoloso è considerare chi sta fuori dalla nostra bolla come qualcuno da eliminare.
Al direttore - Il voto sull’emendamento di Leu per il ripristino dell’articolo 18 nel decreto Di Maio dimostra, a mio avviso, la confusione in cui agiscono le opposizioni. Il gruppo di Liberi e Uguali (a chi?) è disposto a fare più danni al paese di quelli attribuiti alla nuova maggioranza. Il Pd e FI astenendosi, se ne sono lavate le mani, lasciando alla coalizione gialloverde l’onere di bocciarlo, per poter dimostrare che in questo modo essa viene meno agli impegni presi con gli elettori. In verità, votando contro quell’emendamento la maggioranza ha fatto una bella figura, visto che più si allontana da quanto previsto nel contratto di governo meglio è per il paese. Ma se i grillinsalviniani avessero, invece, trovato l’alibi per approvare quel testo, la sinistra si sarebbe vantata di aver costretto, direttamente o indirettamente, la maggioranza a restituire la tutela reale in caso di licenziamento ingiustificato ai lavoratori?
Giuliano Cazzola
Il dato più spaventoso non mi sembra questo (la mossa sull’articolo 18 in fondo è stata ben organizzata da parte di Leu) ma mi sembra un altro. E il ragionamento riguarda prima di tutto il Pd. Primo: davvero è pensabile iniziare ad attaccare la dottrina Minniti per creare un’alternativa al salvinismo? Secondo: davvero si può rinunciare a fare opposizione vera al Movimento 5 stelle per paura di inimicarsi gli elettori del movimento 5 stelle? Con il “decreto dignità” è andata così e per quanto possa essere surreale il Pd ha regalato l’opposizione a una legge contro il lavoro a Forza Italia. Come avrebbe detto un tempo Nanni Moretti, continuiamo così, continuiamo a farci del male.
Al direttore - Freemium o non Freemium, una scusa (con applausi) per non far pagare si trova sempre. Ma nessun antiBonisoli a prescindere può cancellare ciò che Friedman ci ha insegnato: anche coi musei gratuiti, qualcuno che paga c’è sempre. In questo caso, i contribuenti anziché i visitatori.
Corrado Sforza Fogliani