Ernst Bloch

Bloch e le categorie del populismo. La vocazione maggioritaria non esiste più

Le lettere al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Pubblicato nel 1935 a Zurigo, “Eredità del nostro tempo” di Ernst Bloch è un magistrale saggio storico-sociologico sul crollo della Repubblica di Weimar e sull’avvento del nazismo. La sua introduzione si intitola “Polvere”. La metafora centrale del libro è infatti la polvere, che la piccola borghesia in rovina solleva nell’aria e che si diffonde rapidamente in tutto il Reich. Veicoli della polvere sono la distrazione e l’inebriamento di massa, le due categorie interpretative di cui si serve Bloch per esaminare l’ascesa di Hitler. Sotto la scura polvere che si alza in un’atmosfera cupa e minacciosa, non c’è una via d’uscita. Il finale, quindi, è già scritto. Mentre l’operaio senza lavoro non guardava più a Mosca, l’impiegato disoccupato si affida al Führer. In Europa, nei primi decenni del Novecento, la rabbia e la paura dei ceti medi impoveriti furono catturate e addomesticate da regimi totalitari. Oggi sono intercettate e coccolate da movimenti sovranisti e xenofobi. Passando a noi, spicca la crescente convergenza tra il populismo leghista e quello pentastellato, un mix di rivolta luddista e sovversivismo sociale. Nelle sacre rappresentazioni dei loro leader, gli abiti di Satana sono identici: lo stato dei padroni, la casta dei politicanti, la grande finanza, il complesso militare-industriale, i poteri forti, la massoneria, la “cricca” di Bilderberg. Nulla di scandaloso, perché il populismo non è un’ideologia, ma una sindrome basata su due radicate convinzioni: che il popolo sia depositario della verità e che sia, insieme, vittima di raggiri, inganni, persecuzioni. In questo senso, si può ben dire che il populismo è una religione neopagana in cui il popolo è Dio, un Dio che adora se stesso. Sul fuoco del populismo, poi, soffia la rete, vale a dire il maggior simbolo della modernità. Grazie al web vengono lanciate le crociate contro gli infedeli, i signori della Terra che tessono incessantemente i loro complotti per meglio dominare il mondo degli umili, dei deboli, dei servi della gleba. Mancano le prove e i documenti, ma che importa? La loro assenza, per questi seguaci a loro insaputa dell’esoterismo di Madame Blavatsky, è la migliore conferma che il Male agisce di nascosto. Nel frattempo, il Pd balbetta. Per ora dobbiamo registrare soltanto prediche moraleggianti contro il qualunquismo da osteria, la violenza verbale e l’isteria collettiva che dilagano nei blog contro il sapere scientifico e la democrazia rappresentativa. Ma una delle regole fondamentali del sistema parlamentare è non soltanto che esista un’opposizione, ma che questa opposizione sia efficace, sia cioè vista come una possibile alternativa di governo. Nulla di tutto ciò è attualmente all’orizzonte. Nel gioco per il potere le due dispensatrici della vittoria sono, per usare le famose categorie di Machiavelli, la fortuna o la virtù. Dalle parti di Largo del Nazareno sembrano mancare entrambe. Ma il partner di un gioco non può essere un perdente per predestinazione. Il perdente per predestinazione non è un giocatore, è tutt’al più un giocato (da altri). Emanuele Macaluso ama ripetere che il Pd non è un partito, ma un agglomerato politico-elettorale. Ha ragione, ma non è solo questo il punto. La verità è che ancora non si capisce (almeno chi scrive non capisce) cosa voglia fare da grande: rilanciare la sua vocazione maggioritaria con un progetto riformatore – e con un gruppo dirigente degno di questo nome – che sappia parlare a tutti gli italiani, o acconciarsi mestamente alla riedizione di un Ulivo in sedicesimo con i resti di una sinistra dispersa e in disarmo.

Michele Magno

 

C’è un dato solo apparentemente banale che ci può permettere di capire in che senso l’identità del Pd è finita in un congelatore. Un dato che coincide con una domanda: c’è qualcuno che realisticamente crede che il prossimo segretario del Pd sarà anche il candidato premier di quel partito? La risposta è no. E non è una risposta come le altre. Il Pd era nato per declinare la sua vocazione maggioritaria. La vocazione maggioritaria si declinava attraverso la coincidenza tra il ruolo del segretario e quello del candidato premier. Oggi non è più così. E far scendere il sipario sulla vocazione maggioritaria significa far scendere il sipario su ciò che un tempo doveva essere il Pd.

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