Gli estremisti e il monopolio del linguaggio dell'indignazione. La grande balla del piccolo è bello
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Crolla la lira, torniamo all’euro!
Giuseppe De Filippi
Mamma, li sovranisti!
Al direttore - Prima abbiamo detto che andare a fare il ricercatore all’estero non era un arricchimento ma una fuga, poi che i giovani sono costretti a scappare in luoghi terribili tipo Londra o Berlino o Parigi a stento sopravvivendo senza parmigiana & caffè con la moka, poi che gli insegnanti collocati a duecento km da casa erano stati deportati, però Di Maio su Marcinelle avrebbe fatto una gaffe, la solita gaffe che unisce solo i puntini e sotto sotto fa il pieno di consensi.
Andrea Minuz
La forza del pensiero estremista/populista non è solo elettorale ma è legata a qualcosa di più profondo: avere il monopolio sul linguaggio dell’indignazione.
Al direttore - E se fosse vera l’ipotesi che il vero leader del M5s Davide Casaleggio ha messo in atto la distinzione marxista fra sovrastruttura e struttura? La sovrastruttura (l’immigrazione, il richiamo alla pancia razzista e di estrema destra dell’elettorato) affidata a Salvini e invece la struttura (decreto dignità, Tav, Tap, Ilva, Alitalia) in mano a Di Maio e Toninelli, insieme alla leggerezza dell’essere distillata dal presidente Conte? Una distinzione dei ruoli e dei compiti che nell’immediato ha fatto salire le quotazioni del capitano Salvini, ma che nel tempo medio e lungo può essere un disastro per la Lega perché viene colpito un pezzo cospicuo del suo retroterra economico e geografico? Certo, c’è un’altra variante e cioè che qui non c’è nessuna “vecchia talpa” che scava “Für Ewig”, ma vivono tutti alla giornata improvvisando pericolosamente.
Fabrizio Cicchitto, presidente ReL Riformismo e Libertà
Possono essere capaci di tutto, ma restano pur sempre degli incapaci, e su questo vedrà che prima o poi affonderanno.
Al direttore - Di fronte a fatti tragici come quelli di Foggia non basta porre la questione di intensificare i controlli, uscire dalla spirale del massimo ribasso, introdurre garanzie minime sociali ed economiche, spingere per un consumo consapevole: occorre adeguare la nostra produzione agricola alla realtà del mercato globale facendole compiere un salto verso un moderno processo di industrializzazione. Sui mercati mondiali i prodotti alimentari made in italy sono al top di gamma eppure quei mercati sono saturati da prodotti che di italiano hanno solo il sound. Il maggior esportatore di pomodori mondiale è l’Olanda che per altro è anche il secondo esportatore di vegetali. La nostra agricoltura invece è dentro un circolo fatto di interessi, ma anche di ideologia basato sul “piccolo è bello”, “km 0”, “No Omg”. Tutte cose buone e giuste, ma per una nicchia di mercato che nel momento in cui deve confrontarsi con filiere i cui prezzi sono determinati a livello internazionale finiscono per produrre catene di valore in cui il costo del lavoro diviene pari a quello minimo della sua riproduzione, i vergognosi due euro. Occorre un piano, come ricorda Brambilla nel suo articolo, per portare Impresa 4.0 anche nell’impresa agricola automatizzandola e digitalizzandola dove non c’è posto per la schiavitù ma per lavori qualificati e una crescita dei nostri prodotti nei mercati mondiali (Trump permettendo).
Paolo Pirani, segretario generale Uiltec
Fino a che non supereremo per sempre la retorica idiota del “piccolo è bello” l’Italia continuerà a essere il paese che è: punti di forza infiniti, energie uniche, talenti sterminati ma incapacità di crescere. Restiamo su questo punto con un dato utile tratto dall’ultimo libro di Andrea Goldstein (“Agenda Italia 2023”, Il Mulino). Goldstein ricorda che le piccole e medie imprese costituiscono la fibra essenziale di tutte le economie Ocse ma aggiunge che l’anomalia italiana è che il loro peso sull’economia e la loro età media sono superiori che altrove. E questo è importante perché la relazione tra la dimensione di impresa e la produttività di un’economia di scala è sempre più forte e secondo diverse stime se l’Italia avesse dimensioni di aziende in media con il resto dell’Europa il suo livello di produttività potrebbe aumentare fino al 20 per cento in più. Piccolo non è bello. Piccolo è un problema. Specie quando poi si vive in un paese che spaccia per virtù quelli che sono vizi di un’economia.
Al direttore - Mi rivolgo a Lei e rispondo alla breve lettera a firma della senatrice Cattaneo apparsa nei giorni scorsi sul quotidiano da Lei diretto. La lettera elogia la linea “razionale e scientifica” – cito la senatrice Elena Cattaneo – del quotidiano. Non intendo aprire un dibattito e men che meno una polemica sulla scientificità dei medicinali omeopatici o sulle citazioni che anche in passato ho avuto l’onore di ricevere da parte della Senatrice Elena Cattaneo, vorrei soltanto correggere alcune inesattezze, certamente in buona fede, contenute nella lettera di cui sopra. Non vi è alcun “filo rosso”, né tantomeno una strategia nell’approvazione dell’emendamento al dl Milleproroghe che consente: “Una proroga al 2019 dell’obbligo di sottoporre i prodotti omeopatici all’Aifa per l’autorizzazione all’immissione in commercio secondo modalità semplificate”. I medicinali omeopatici (non “prodotti”, bensì medicinali) sono già dal 30 giugno 2017 al vaglio dell’Aifa. La proroga si è resa necessaria proprio per consentire all’Agenzia del farmaco di esaminare attentamente i dossier di quei medicinali (in commercio da 40 anni e più) che hanno fatto richiesta di Aic (Autorizzazione immissione in commercio). Esattamente ciò che sostiene la senatrice Elena Cattaneo. Rispetto poi al fatto di nascondere la notizia di cui sopra, io sono a disposizione per qualunque approfondimento corretto e trasparente nonostante la linea “razionale e scientifica” del Suo quotidiano. Cordialmente.
Giovanni Gorga, Presidente Omeoimprese
Gentile Presidente. Della necessità dell’Aifa di un altro anno di tempo per esaminare i dossier non abbiamo trovato traccia, non risulta alcuna richiesta di questo tipo da parte dell’Agenzia del farmaco. E la circostanza che il tema non fosse nel decreto originario, ma frutto di un emendamento aggiunto in commissione, nel corso della conversione del decreto legge, fa dubitare che fosse una urgenza dell’agenzia vigilata dal ministero della Salute. I senatori della Lega, Borghesi e Pirovano, sicuramente possono chiarire le circostanze della presentazione del loro emendamento. La senatrice Cattaneo sembra dolersi soprattutto della possibilità di una registrazione dell’omeopatico, senza che sia documentata una prova di efficacia. Questo è ciò che avviene per i farmaci, a cui sono richiesti prove di efficacia per autorizzare indicazioni terapeutiche. Mentre per i preparati omeopatici avviene l’esatto contrario: non si richiede che facciano qualcosa di buono in particolare (nessuna indicazione terapeutica autorizzata) ma che non facciano nulla di male in generale (principio attivo diluito di almeno 100 volte rispetto alla dose più piccola eventualmente usata nei farmaci). E’ questo doppio standard, peraltro rinviato di continuo, che sembra poco razionale e scientifico. Grazie.