Vincino e i foglianti (e l'arabo). L'Italia senza credibilità (e il caso russo)
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Vincino, era meglio non averlo conosciuto! E’ possibile continuare a pubblicare ogni giorno dei prossimi secoli, una Sua vignetta?
Grazie di tutto.
Peppino Di Tano
Sì, è possibile, e in qualche modo lo faremo. I funerali di Vincino sono oggi alle 11.30, a Roma, al tempietto egizio del Verano. E se vi state chiedendo perché oggi, così come nei prossimi giorni, pubblicheremo vignette in arabo, dovreste chiederlo a Vincino. Un abbraccio a tutti.
Al direttore - Altan ci folgora netto, lapidario come un aforista; Vincino invece, con le sue digressioni e sbavature, sapeva muovere il sottofondo di un riso continuo, da solletico – un riso potenzialmente illimitato e informe, tremolante e insinuante come il suo segno. Altan è il Flaiano dei vignettisti, a volte forse il Kraus; Vincino era il nostro Laurence Sterne.
Matteo Marchesini
Al direttore - Ciao Vincino. Ci mancherai. Mancherà la tua matita appuntita, sagace, capace di individuare i peggiori difetti dei peggiori politici e renderli leggeri come una risata. “Una passata di luce” come ha scritto Ferrara. Mancherà quel tratto essenziale, ma non semplice, incomprensibile solo a chi nulla comprende di disegni, di arte. Mancherà il calendario che approntavi in vista del nuovo anno; l’ultimo dei quali lo intitolasti, beffardamente, “Favoloso 2018”. Ciao.
Jori Diego Cherubini
Al direttore - Ciao Vincino, oggi è stata una giornata difficile fra depressione e tanti pensieri e poi mi arriva la notizia della tua morte e mi viene da dire, cazzo, mi bevo un’altra birra e quella candela era per le zanzare ma adesso anche per te perché le candele mi piacciono anche perché finiscono e lasciano un residuo, quella cera, quel fuoco spento che ti resta incollato alle dita, al cuore, alla vita. Tra l’altro Vincino, il Foglio di ieri mi ha fatto piangere perché l’articolo di Ermes Antonucci mi ha permesso di respirare e pensa Vincino dopo una dura giornata di lavoro sono uscito dal cinema dove lavoro e dove pulisco i cessi e le sale e la macchina dei popcorn e sono andato in Italia a comprarti perché ieri alle 4 e 45 avevo visto la prima pagina e non potevo perdermela assolutamente anche se sapevo che avrei avuto una giornata del cazzo. E allora grazie a te e a tutta la redazione del Foglio e ai suoi lettori. Grazie per tutto. E poi la birra la bevo e mi viene da piangere e ce n’è un’altra che mi aspetta.
Andrea Consonni
Al direttore - Mentre il premier Conte dà notizia dalle colonne del Corsera del 21 agosto di una contromossa (una specie di arma segreta?) per giungere verosimilmente alla revoca della concessione ad Autostrade dopo l’immane tragedia di Genova, altri, nel governo, formulano ipotesi di nazionalizzazione o di pubblicizzazione, nell’inconsapevolezza, verosimilmente, della necessità di una legge, soprattutto nel caso della nazionalizzazione, nonché della previsione di un equo indennizzo. In definitiva, il carattere dell’intervento pubblico in economia sarebbe definito dopo una vicenda gravissima che ha suscitato sdegno e solidarietà anche oltre i confini italiani, ma senza disporre di una visione d’insieme, nonché della necessaria ponderazione degli effetti. Né ci si concentra, invece, sul vasto campo di riforme da attuare relativamente ai rapporti tra concedente e concessionario di opere pubbliche nei quali si pone, innanzitutto, l’esigenza di riequilibrare, a favore dello stato o del “pubblico”, una relazione spesso assai sbilanciata a favore del concessionario, quasi che paradossalmente il comparto pubblico sia diventato, almeno in diversi casi, un “contraente debole”. La diffusione di dichiarazioni confuse e contraddittorie estende poi un effetto-alone sull’intera visione del governo e sui probabili caratteri della prossima legge di Stabilità, per la quale già si comincia a prospettare uno sconfinamento dal 3 per cento del rapporto deficit/pil, mentre si auspica la prosecuzione del Quantitative easing della Bce oltre il 31 dicembre. Da ultimo si è lanciata l’ipotesi di uno scudo russo a protezione dell’Italia. La situazione appare così problematica che solo venendo in primo piano le razionali posizioni di Tria e di Savona ci si potrebbe preparare a un progetto di legge di Stabilità che non sia un suicidio. Ma sarà mai possibile azzerare dichiarazioni e preannunciate strategie contro immaginari complotti e ricatti? E nel contempo abbandonare una impostazione politica che mira solo a lucrare vantaggi di breve periodo dovuti alla comunicazione, a prescindere dai contenuti. Ma, poi, quando si scoprirà che il re è nudo? Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia
Caro De Mattia, il re è già nudo. In tre mesi di governo, senza aver fatto ancora nulla, ma proprio nulla, è crollata l’affidabilità del paese, è crollata la sua credibilità, è crollata la sua propensione ad attrarre investimenti. Da fine maggio a oggi, la Borsa ha perso il dieci per cento. Dal dopo elezioni a oggi, lo spread è salito di quasi duecento punti. Le vendite nette dei nostri titoli di stato a giugno hanno toccato per il secondo mese di fila un livello record. Il possesso di debito italiano da parte di investitori esteri, come scritto ieri sulla prima pagina del Financial Times, si è ridotto in termini netti di 38 miliardi di euro, con una cifra peggiore rispetto ai meno 34 miliardi dello scorso maggio. Senza aver fatto nulla, l’Italia si sta avviando velocemente verso una strada pericolosa. Figuriamoci quando il governo comincerà a fare qualcosa.
Al direttore - L’opzione russa per finanziare il nostro debito, così come anticipata dal Foglio e dalla Stampa, ha un suo fascino. Affidarsi ai fondi sovrani di Putin, come prospetterebbe il professor Savona, di fronte alla bomba d’acqua autunnale degli spread, può essere letto da Bruxelles, Francoforte e Washington come minaccia impugnata a mo’ di leva di trattativa; o come scelta di nuove alleanze. Nel primo caso, occorrerebbe essere fortissimi nel negoziato, partendo da posizioni convinte, unitarie, toste: o ci lasciate fare la Finanziaria che ci serve, o passiamo coi russi. Bisognerebbe essere certi poi che Mosca ci stia davvero. E che magari non arretri dopo una telefonata fra Trump e Putin. Nel secondo caso, che deriverebbe dalla non riuscita negoziale con Bruxelles sullo sforamento del 3 per cento per mantenere le promesse elettorali, la scelta di campo russa va poi perseguita: su posizioni convinte, unitarie, tostissime. Avendo contro il grande establishment europeo, europeista e atlantista (i “poteri forti” evocati da Salvini), toccherebbe abitare via via sempre più nella nuova Casa Russia. Valutarne costi, mutuo, arredi, amministrazione condominiale, sistemi di sicurezza e prospettive economiche nel caso di una rivendita in fretta e furia. La situazione peggiore – per tutti – sarebbe quella di stare nel mezzo per anni, come la Turchia di Erdogan. Ma quella almeno ha Allah a proteggerla dalla svalutazione. Noi siamo ormai figli di un dio minore.
Luca Rigoni
Per capire bene in cosa consiste il vero piano B di Paolo Savona, e forse anche del governo, vale la pena vedere cosa ha detto il 20 luglio il ministro per gli Affari europei nel corso di un’audizione tenuta di fronte alle commissioni di Camera e Senato sulle politiche comunitarie. “Se la Bce si rifiuta di effettuare interventi a sostegno, se a settembre, a seguito del comportamento delle agenzie di rating, partisse un’operazione speculativa, non fondata sul fatto che l’economia italiana sta peggiorando, perché non sta peggiorando – come voi sapete dalle statistiche, l’inflazione è assolutamente sotto controllo, quindi mentre gli altri paesi si approssimano al 2 per cento, noi siamo ancora distanti e questo ovviamente induce Draghi ad abbandonare la politica di Quantitative easing, altrimenti salterebbero gli equilibri – evidentemente noi dovremmo trovare un’alternativa. Un’alternativa interna, se qualche paese si associa con noi (e tanto meglio), o esterna, e questo sarebbe un fatto più delicato. Mi avete parlato della posizione nei confronti della Russia. La Russia è in grado di fare questo? Io ritengo che non abbia abbastanza soldi per fare questo tipo di operazioni, anche se vi ho detto che i soldi non servono: basta che esista la garanzia. Ma il mercato deve credere che, se si muove, riceverà forti contraccolpi, quindi non è necessario. Occorrono altre garanzie. Chi le può dare? Non lo so. La fantasia al potere. Stiamo esaminando anche questo, che è un problema serio di politica estera, che si riflette nei rapporti con l’Europa e col mercato”. Ora: un governo i cui ministri non negano un’opzione del genere può mai essere un governo che contribuisce a incrementare la credibilità di un paese?
Al direttore - Il garantismo autentico deve essere a 360 gradi e quindi deve valere anche per Asia Argento. Di conseguenza reputo inattendibili – a meno di prove schiaccianti – le accuse che a lei rivolge il giovane Jimmy Bennett. Per le stesse ragioni però reputo altrettanto inattendibili quelle che lei ha rivolto dopo vent’anni a Weinstein e Morgan per non parlare delle altre avanzate da altre signore riguardanti non ben precisate molestie o cosiddetti comportamenti inappropriati (che non so bene cosa significhino) che però specie negli Usa hanno rovinato la vita e le carriere di grandi personalità del cinema e della musica. A ulteriore difesa di Asia Argento aggiungo che se il sottoscritto, fra i 15 e i 17 anni, fosse stato sottoposto alle attenzioni, non dico di una attrice ma di una professoressa, avrebbe ritenuto di aver toccato il cielo con un dito e non ne avrebbe avuto certo conseguenze disastrose di tipo depressivo. Purtroppo però il sottoscritto non ha dovuto affrontare un trauma così gradevole.
Fabrizio Cicchitto ReL Riformismo e Libertà