Immigrazioni tra fatti e chiacchiere. La normalità diventa eccezionalità: aiuto
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - In India l’omosessualità non è più reato. Le congratulazioni del Papa: “Quando voi eravate ancora indù, noi eravamo già froci”.
Maurizio Crippa
Al direttore - Assist della Caritas a Matteo Salvini. Nel Centro di Rocca di Papa, dove erano stati accolti, si sono perse le tracce di cinquanta migranti soccorsi dalla nave Diciotti. Il ministro di Polizia sta ancora gongolando. Se non fosse “politicamente scorretto’’ avvalersi dell’idioma di Angela Merkel, sarebbe tentato di inserire sui simboli della Lega la scritta “Gott mit uns’’.
Giuliano Cazzola
Percentuale di sbarchi nel 2018 rispetto al 2017 a luglio, con Salvini appena insediato: meno 80,3 per cento. Percentuale di sbarchi nel 2018 rispetto al 2017 a settembre, con Salvini da cento giorni insediato: meno 79,75 per cento. I clandestini aumentano, i rimpatri non aumentano, le ripartizioni in Europa non ci sono e il trend degli sbarchi cala da un anno e mezzo con o senza Salvini. Chiacchiere molte, fatti pochi. E’ il populismo, bellezza.
Al direttore - L’aneddoto è noto. Mentre stava svolgendo il suo intervento nel corso di una riunione a Botteghe Oscure, un infervorato Pietro Secchia viene bruscamente interrotto da Palmiro Togliatti con questa domanda: “Che cosa ha fatto ieri la Juventus?”. Il responsabile dell’organizzazione e della propaganda del Pci, imbarazzato, tace. Allora il Migliore lo apostrofa, gelido: “E tu pretendi di fare la rivoluzione senza conoscere i risultati della Juve?”. Come a dire, senza conoscere gli umori del popolo a cui chiedi di ribellarsi? Per fortuna, quanto meno gli umori del popolo romano Maurizio Martina li conoscerà, dopo aver spostato al 30 settembre la manifestazione nazionale del Pd, visto che il giorno prima avrebbe coinciso con il derby calcistico della capitale. In ogni caso, l’appuntamento di fine mese resta un test importante, anche per saggiare la residua speranza di vita di un partito tramortito dalla sconfitta elettorale. Come ha scritto Sabino Cassese sul Corriere della Sera, questa afonia non è figlia soltanto di indecenti dissidi interni e della mancanza di un leader. E’ il sintomo di una crisi esistenziale della sinistra che deriva dall’esaurimento della sua spinta ideale, quella che nacque in Inghilterra nel 1942 con il Piano Beveridge. Che si tratti di una crisi comune all’intero campo del progressismo europeo non può né consolare né diventare un alibi. Non basta rappresentare gli italiani che “non hanno paura”. Occorre rappresentare anche quelli che hanno paura; non indulgendo certamente in letture pauperistiche da quattro soldi della condizione del paese, ma proponendo nuove idee, alternative, progetti. Beninteso, la protesta contro il “governo dell’odio” è sacrosanta. Una delle passioni politiche più esplosive che hanno seminato la violenza nel Novecento è stata proprio l’odio: nazionalistico, razziale, di classe. Dopo la conclusione delle esperienze totalitarie del “secolo breve” è sembrato che fosse tramontato. La stessa causa dell’integrazione europea si è avvalsa, quando fu concepita, della carica emotiva di un messaggio saldamente radicato nelle ragioni della pace, della tolleranza e della democrazia. Nell’ultimo decennio il quadro è cambiato. Si è infatti prepotentemente riaffacciata una cultura dell’odio avvertita ormai da molti come una pulsione positiva, non più sottoposta al tabù dell’inibizione o dell’occultamento. Tale cultura è l’espressione del forte bisogno di identità che anima i movimenti sovranisti, e cresce oggi pericolosamente con l’insicurezza, con il sentirsi minacciati o accerchiati. Incrementa quindi se stesso nella forma della faziosità, nel paranoico eccesso di legittima difesa. Lo osservava già Aristotele nella “Retorica”: “[chi odia] vuole che l’avversario non esista”. L’odio è annientatore. Per questo l’odio va a sua volta odiato senza se e senza ma.
Michele Magno
Al direttore - La cura spread qualche risultato lo ha conseguito se si osserva il mutamento di posizioni nel governo sulla politica economica, in particolare da parte di Matteo Salvini. E’, tuttavia, più che doveroso il beneficio d’inventario, in attesa della nota di variazione del Def e della proposta di legge di Stabilità, solo allora potendosi valutare se si è trattato esclusivamente di un tattico cambiamento di comunicazione o di qualcosa un po’ meno mutevole. L’osservanza delle regole, alla quale nell’esecutivo si conferma l’impegno, è un “prius” cogente: partendo da qui bisognerà, quindi, valutare i contenuti delle politiche che saranno proposte con la nota di aggiornamento del Def e con il progetto di legge di stabilità. Resipiscenza o altro che siano sopravvenuti, resta il fatto che il medesimo cambiamento di 180 gradi nelle posizioni che si sostengono, in un breve lasso di tempo, è indice, pure esso, della scarsa credibilità e affidabilità di componenti dell’esecutivo che, quanto meno, a voler ritenere sincera la metamorfosi, hanno dimostrato la mancanza di ponderazione e di equilibrio nell’assumere le posizioni ora modificate. Ci dobbiamo predisporre, allora, ad altri giri di valzer? A fronte di tutto ciò, l’opposizione e, in specie, quella di sinistra tace o biascica. Alla fine, pur dovendosi fare le necessarie distinzioni e graduare le responsabilità, diventa difficile ritenere da queste ultime esonerata l’una o l’altra forza politica.
Angelo De Mattia
Un paese in cui la normalità diventa un’eccezione è purtroppo un paese che ha perso la ragione.