L'eccezione italiana è il partito conservatore. Il disastro di Roma. Ricordo di Benetton
Al direttore - Merz alors!
Giuseppe De Filippi
Angela Merkel, a tredici anni dalla sua prima volta da cancelliere della Germania, pensa giustamente alla sua successione. Lo stesso stanno facendo in Spagna i popolari. Lo stesso stanno facendo in Francia i repubblicani. Sarebbe bello dire che lo stesso sta accadendo anche in Italia ma se vogliamo invece l’anomalia del nostro paese è proprio questa: in tutti i grandi paesi d’Europa non c’è partito conservatore che non stia mettendo in campo una proposta alternativa al presente per costruire il futuro. E fino a quando il partito conservatore italiano, ovvero ciò che resta di Forza Italia, non avrà il coraggio di tagliare definitivamente i ponti con la Lega, senza ambiguità come ha provato a fare alla festa del Foglio Antonio Tajani, e di organizzare una grande mobilitazione popolare per far emergere nuove leadership, resterà l’unico partito conservatore in Europa poco interessato a ragionare sul futuro.
Al direttore - E’ con grande tristezza che venerdì a Treviso abbiamo salutato per l’ultima volta Gilberto Benetton. Il grande numero di persone che hanno voluto esserci ha dimostrato, una volta di più, quanto la sua persona fosse benvoluta e rispettata. Come abbia saputo nella sua vita costruire relazioni e affetti solidi. Un grande imprenditore talvolta è una figura solitaria, concentrata nei suoi progetti e senza tempo per gli altri. Lui no, non ha mai perso la dimensione umana che nasce dalle amicizie di lunga data, dal contatto con la gente nella sua Treviso, da una presenza discreta ma sostanziale nella vita pubblica. Ci mancherà e sarà di esempio e guida per tutti noi che l’abbiamo conosciuto e per chi verrà dopo. Ciò che veramente amareggia è il mancato riconoscimento da parte delle Istituzioni e della politica nazionale del ruolo fondamentale da lui svolto nella crescita del paese; e gli attacchi circolati nella rete. Dopo il disastro di Genova Gilberto e la famiglia Benetton sono stati al centro di un attacco istituzionale e politico. Una condanna sommaria e immediata per responsabilità ancora tutte da accertare. Un messaggio partito pubblicamente proprio da chi è chiamato alle massime responsabilità per il governo del paese, che ha alimentato questa campagna di odio, livore e giustizialismo. Certamente le responsabilità andranno accertate. Ma questo nulla toglie al riconoscimento dovuto a una persona e a una famiglia che molto hanno contribuito a far crescere l’Italia. E soprattutto non può venire meno il rispetto e il silenzio nel momento della morte. E’ un segno di civiltà. C’è da riflettere e da preoccuparsi. Su questo, chi ci guida ha e deve assumersi la responsabilità di essere esempio di valori e convinzioni, anche a rischio di impopolarità, e di non essere gregario o megafono di una presunta “opinione pubblica” dei social, che troppo spesso si è vista manipolata e diretta dall’esterno. Mi sottraggo sia a questa deriva violenta che al silenzio degli opportunisti. Voglio testimoniare, avendolo conosciuto, il valore di Gilberto Benetton e il senso alto della sua vicenda umana e imprenditoriale, sapendo che ci mancherà e non sarà semplice continuare la sua opera.
Maria Cristina Piovesana, presidente vicario di Assindustria Veneto centro Imprenditori Padova Treviso
Al direttore - Mi vergogno di vivere a Roma. Ospito amici da tutto il mondo e ogni volta che giro con loro per la Capitale mi accorgo di come sia ridotta e posso solo chiedere scusa ai miei ospiti. Solo la folgorante bellezza della Roma antica, barocca, umbertina e razionalista riduce lo squallore delle sue strade e del suo stato. Non è un caso se nel citare le sue bellezze architettoniche mi sono fermato al periodo fascista. L’ultimo secolo, a parte il recupero di vecchi progetti completati all’Eur o delle strutture per ospitare le Olimpiadi del 1960, ha solo visto la nascita di porcherie frutto del sacco di intere aree rubate al verde e trasformate in dormitori insani e invivibili, uno per tutti il Corviale. Una crescita senza strategia se non quella di speculatori avidi e ignoranti che hanno solo pensato ad arricchirsi senza visione ne capacità di comprendere che stavano devastando la Capitale dal punto di vista infrastrutturale, economico e sociale. Hanno terremotato Roma creando faglie insuperabili tra il centro storico e le periferie, distrutto cosi il tessuto sociale e connettivo della Capitale, infestando la periferia di agglomerati abitativi abbandonati a se stessi e in balìa di varie, piccole ma potenti mafie, alternati a centri commerciali che hanno definitivamente ucciso la piccola borghesia artigiana e commerciale romana. Un secolo di barbari che, salvo il vano tentativo delle giunte Rutelli e la prima di Veltroni, dove si rimise mano al piano regolatore e si costruirono opere che hanno rivitalizzato alcune aree come il Flaminio con l’Auditorium della musica, il Maxxi e il ponte della musica, opere di riqualificazione come la nascita del Macro nei suoi due punti a Testaccio e in centro, una visione strategica dispersa e uccisa da gravi errori e responsabilità degli stessi fautori che ne hanno pagato lo scotto politico con il prezzo di aver consegnato la Capitale alla devastazione senza strategia, se non quella del “cambiamento” in chiave gattopardesca, degli incompetenti e inadeguati al ruolo, in un “crescendo rossiniano” del sempre peggio, da Alemanno a Marino, per poi sprofondare definitivamente con la Raggi, sintesi massima di supponenza, arroganza e incompetenza che ha definitivamente ucciso Roma. Un errore capitale che non vede esente nessuno, specie i romani e chi la vive quotidianamente, principali protagonisti e colpevoli di questo degrado sociale e strutturale che sta provocando, irreversibilmente la fine di Roma. Lentamente e silente, come il suo fiume, Roma muore.
Angelo Argento