Di Maio assediato dalla realtà. Il senso della sfida Minniti-Zingaretti

Al direttore - Nelle azioni di governo, ci si deve rendere conto che inseguire il proprio interesse, non è sufficiente per conseguire il benessere collettivo. L’economia non si ferma alla “mano invisibile” di Adam Smith. Tra le file degli alleati, c’è chi accusa in blocco le banche, senza capire che la generalizzazione di un sistema bancario corrotto, ne svilisce le accuse. C’è chi accomuna precarietà e flessibilità, senza comprendere che oggi la flessibilità del lavoro è imprescindibile per rispondere alla realtà di un tessuto imprenditoriale variegato che ha bisogno di risposte, che non possono essere uniformi per affrontare differenti realtà. C’è infine chi confonde singoli comportamenti criminali di singoli migranti come la regola, alimentando un odio sociale senza precedenti. Il faro della ragione che dovrebbe accompagnare chi ora governa e non fa più opposizione, consiste nel percepire le cose nella loro esatta proporzione e magari nello scegliere il giusto mezzo tra due estremi.

Andrea Zirilli

Di Maio e Salvini hanno ragione. Il governo è sotto attacco. C’è un nemico micidiale che avanza. Si chiama realtà.

 


 

Al direttore - Sarebbe un caso mai verificatosi nella storia delle Authority, ma anche nella storia di qualsiasi ente pubblico rispettabile, quello della nomina di un dirigente della Consob al grado iniziale della relativa carriera (Marcello Minenna) che dovesse compiere un salto assolutamente straordinario e non per raggiungere, scavalcando molti altri dirigenti preparati e capaci, l’apice della stessa carriera, ma per essere addirittura destinatario di una nomina “esterna” che lo porterebbe alla presidenza della Consob. Peggio anche della Rai laddove se salti verso gli organi deliberativi si sono registrati, almeno hanno riguardato persone all’apice della loro carriera interna. Ciò accadrebbe perché i 5 stelle così avrebbero deciso passando sopra tradizioni, regole di condotta, ordinato sviluppo delle carriere, buon senso, immagine dell’istituzione che in tal modo si offrirebbe, rispetto degli altri dirigenti e dei componenti attuali del collegio di vertice. Insomma, un caso in puro stile bassamente lottizzatorio, che, però, non ha fatto i conti verosimilmente con chi detiene il potere di ultima istanza sulla nomina, il presidente della Repubblica, trattandosi di un provvedimento che il capo dello stato non controfirma come quelli normali del governo, ma che adotta come esplicazione di una sua autonoma ed esclusiva attribuzione. Dopo che la maggioranza di governo ha costretto un personaggio competente e credibile anche a livello internazionale qual è Mario Nava alle dimissioni si ricava che questa è la successione che una parte della maggioranza aveva in mente? Di questo passo può poi accadere che ci si incammina sulla strada di Caligola?

Angelo De Mattia

 

Quando l’appartenenza conta più della competenza ciò che sembra impossibile può diventare possibile.

 


 

Al direttore - Ho letto un intervento pubblicato martedì da Marco Minniti che mi ha colpito. Mi ha colpito perché prima di questo intervento ne avevo letto un altro di Nicola Zingaretti, che sabato scorso aveva detto al Corriere: “Salvini ha come legittimo obiettivo quello di fare il premier. Quello che non capisco è perché i 5 stelle siano complici e vittime di questo disegno”. Ho letto Zingaretti e poi ho letto questo Minniti: “Mi permetto di suggerire anche a quei potenziali dissidenti di essere meno ingenui verso la natura del Movimento Cinque Stelle, che con la Lega condivide un disegno autoritario e isolazionistico certificato da un'infinità di scelte e posizioni comuni. Dentro la coalizione non vi è una parte politica da liberare da una prigionia inflitta da un’altra parte politica”. Io sto con Minniti.

Luca Meffi

 

Se mai un congresso ci sarà, sarà su questo tema. Considerare il M5s un movimento di compagni che sbagliano o considerarlo semplicemente un movimento complementare al progetto eversivo di chi vuole uscire dall’Europa. Per chi crede che Salvini e Di Maio sono parte di uno stesso problema, e non parte di una soluzione, non dovrebbe essere così difficile scegliere.

 


 

Al direttore - Paolo Mieli ha esortato a non attribuire alla leggera l’accusa di fascismo. D’accordo. Ma come deve comportarsi una forza politica per essere definita fascista? I suoi militanti devono indossare la camicia nera e il fez, saltare nel cerchio di fuoco, purgare con l’olio di ricino e bastonare con il “santo manganello” gli avversari politici? Magari, se perdono la pazienza, possono pure incendiare una Camera del Lavoro, la sede di un partito o la redazione di un giornale di opposizione? Devono andare alla conquista di un “posto al sole”, spezzare le reni alla Grecia, con otto milioni di baionette? Non importa prendersi tanto disturbo. In fondo, anche le culture autoritarie evolvono. Io sostengo che il nostro Paese sta scivolando lungo una deriva di (sub)cultura (se si vuole: neo, proto, simil, para, ecc) fascista che (almeno per ora) non si esprime attraverso la prevaricazione e la violenza (tranne quelle che viaggiano sulla rete), ma che sta progressivamente penetrando nel Dna della società italiana. Ciò che contraddistingue una visione sono essenzialmente i suoi valori, che si trasformano e si rinnovano col passare del tempo; ma che, alla fine, sono sempre gli stessi nei loro tratti fondamentali. Macron, nel suo storico discorso alla Sorbona, li definì “le passioni tristi” del Vecchio Continente: il nazionalismo, l’identitarismo, il sovranismo e (perché no?) il razzismo. Non fanno parte, forse, del catechismo dell’Italia gialloverde?

Giuliano Cazzola

 


 

Al direttore - Non serve dare valutazioni. Non conosco il grado di maturità politica degli elettori inglesi. Penso che complessivamente sia maggiore di quella dell’elettorato italiano. La scelta Brexit non fu dettata da prevalenti motivazioni ideologiche o di parte. Non c’è inglese che preferisca l’euro alla sterlina. La Brexit non fu un capriccio, l’Italiexit lo sarebbe. Se il popolo è sovrano, il sovranismo gli è consustanziale. Gli impedimenti maggiori per la costruzione di un’Europa federale o politicamente unita, sono stati i sovranismi nazionali. Non sono nati oggi, sono parte essenziale della secolare storia dell’Europa. L’unico modo per aggiustare le cose è quello che nessuno vuol praticare, perché comporterebbe riconsiderare i rispettivi interessi ed egoismi nazionali armonizzandoli in un superiore interessa generale. Il popolo sovrano non ne vuol sapere. Non so se sia chiaro.

Moreno Lupi

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