Dall'alta velocità dipende il futuro di Salvini. Il gattopardismo del Sinodo
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Lo scheletro nel muro non era nel contratto.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Danilo Toninelli, in merito al nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, ha dichiarato: “Ci metteremo d’accordo con la Francia per non fare la Tav. Mi risulta che Macron l’abbia esclusa dalle priorità infrastrutturali proprio dopo aver valutato costi e benefici e non ha stanziato risorse per finanziare il percorso della galleria a Lione”. Il ministro prima di rilasciare tali dichiarazioni, prima di avviare analisi costi benefici farebbe bene a rivolgersi al professor Scaccia suo capo di gabinetto e al consigliere Storto suo capo ufficio legislativo e sentire da loro se simili iniziative e simili dichiarazioni possano essere prese. Sono sicuro infatti che se lo avesse fatto il loro consiglio sarebbe stato quello di tacere, di leggere attentamente un provvedimento che toglie al governo, a mio avviso, ogni ruolo se non quello di avviare un iter legislativo. Sicuramente il professor Scaccia e il consigliere storto avrebbero fatto leggere al ministro Toninelli la legge 71 del 2014, si ripeto la Legge 71 del 2014, e gli avrebbero detto che per prendere qualsiasi decisione occorre tornare in Parlamento. In questo caso sia il ministro Toninelli sia e, soprattutto, il vicepresidente del Consiglio Di Maio, non potranno dire come nel caso del Trans Adriatic Pipeline (Tap) che non essendo al Governo non erano stati informati in quanto la legge 71 è del 2014 e sia Toninelli che Di Maio erano parlamentari e quindi a conoscenza del provvedimento. E allora se si vorrà bloccare questa opera bisognerà tornare in Parlamento e a quel punto penso finirà l’idillio tra il Movimento 5 stelle e la Lega e il risultato sarà scontato in quanto non credo che il Partito democratico, Forza Italia, Fratelli d’Italia e la stessa Lega saranno disposti ad avallare questo grave suicidio strategico, ad avallare, solo per un assurdo capriccio elettorale, una scelta che caratterizza e rende forte uno dei corridoi chiave dell’intero assetto comunitario. Sembra strano ma il tema delle infrastrutture è diventato il banco di prova per dimostrare l’anomalia di una alleanza impossibile, il banco di prova della impossibilità di costruire un matrimonio tra chi cresce stando alla opposizione e di chi cresce cercando di governare e attuare le scelte.
Ercole Incalza
Se ne avesse il coraggio, Salvini dovrebbe costringere Toninelli a portare la modifica della legge sulla Tav in Parlamento. E se ne avesse il coraggio, dovrebbe dire agli amici grillini che su questo punto è disposto a far cadere il governo. Dall’alta velocità non dipende solo il futuro dell’Italia. Dipende anche il futuro di Salvini.
Al direttore - Non cambiare nulla per cambiare tutto. E’ il gattopardismo in versione ecclesiale oggi in auge, l’impronta del cui zampino è fin troppo facile rintracciare scorrendo le pagine del documento finale del Sinodo sui giovani. A partire da quello che, nelle attese e nell’agenda dei novatori, era (è) uno degli obiettivi prioritari ossia lo sdoganamento dell’omosessualità. Basta leggere tra le righe il paragrafo 150 (non a caso il più contestato, con 65 voti contrari), paragrafo che insieme al 149 tratta il tema della sessualità. Se da un lato, infatti, il testo pare collocarsi, rifacendosi anche a un documento della congregazione per la Dottrina della fede, nel solco della (immutata) tradizione ecclesiale riaffermando la “determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna e ritiene riduttivo definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro “orientamento sessuale”, dall’altro parla di “questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità” – tra cui quelle sulle “inclinazioni sessuali” e sulla “differenza e armonia tra identità maschile e femminile” – che secondo i padri sinodali “hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale”. Ora anche a voler tralasciare il non banale dettaglio che alla teologia del corpo san Giovanni Paolo II dedicò qualcosa come 129 catechesi di insuperata bellezza e che quindi risulta, come dire, di non immediata comprensione cosa ci sia ancora da approfondire, il punto è che sembra esserci una qualche contraddizione tra l’affermazione della necessità di ulteriori approfondimenti sulla differenza e sulla relazione uomo-donna e la riaffermazione della “determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna”. Non solo. C’è anche un altro aspetto che balza agli occhi e che la dice lunga su dove quel testo, dicendo senza dire, vuole andare a parare. Il fatto è che dopo aver parlato in maniera generica di questioni sulla sessualità, del rapporto uomo-donna, ecc., a un certo punto si legge questa frase: “Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi”. Intanto, si potrebbe notare che dedicare un intero paragrafo alla questione dell’accoglienza delle persone omosessuali (o dell’omosessualità?), oltre che essere forse eccessivo e un pizzico riduttivo visto che la sessualità è un qualcosa che riguarda anche chi omosessuale non è, è anche forse inutile dal momento che il magistero della chiesa è chiaro su questo aspetto per cui non si capisce il bisogno di ribadire cose già note; inoltre, e cosa più importante, rischia di essere fortemente fuorviante quel riferimento ai “cammini di accompagnamento” delle persone omosessuali. Perché un conto è se parliamo di cammini attraverso i quali la persona omosessuale viene aiutata a vivere la sua condizione in conformità al Vangelo e al catechismo (come d’altra parte sono tenuti a fare anche gli eterosessuali); tutt’altro conto invece è se parliamo di cammini che, contrapponendosi apertamente al magistero della chiesa (e ce ne sono), puntano a far passare (e di conseguenza a far vivere) l’omosessualità come una condizione assolutamente naturale e normale. Su questo punto il documento sinodale non è chiaro (“il vostro parlare sia sì, sì; no, no, il di più viene dal maligno”, dice niente?), e non essendo chiaro si presta a letture ambigue e fuorvianti. Con tutto ciò che ne consegue.
Luca Dal Pozzo