Il governo e l'abolizione del futuro. Lettera di Minenna
Al direttore - Ora via col progetto Sputnik.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Caro Cerasa, più del 94 per cento delle aziende italiane è sotto i 10 dipendenti. Per le piccole aziende, il problema spesso è riuscire a impiegare forza lavoro piuttosto che impiegare con forme contrattuali invece di altre. Abbiamo tante startup veramente innovative che hanno bisogno di flessibilità qualificata. Gli occorre forza lavoro gestendo i cicli economici che nei primi tre anni sono spesso improntati al negativo. Il problema non è l’assunzione di persone con contratto di lavoro, ma avere a disposizione nuove leve con strumenti moderni del mercato del lavoro che come ci ricordava Marco Biagi, “migliorino la quantità e la qualità del lavoro”. Le riforme fatte con decreto legge senza l’apporto degli stakeholders sono destinate a fallire.
Andrea Zirilli
Un paese che si preoccupa di contrastare la povertà senza preoccuparsi di come creare lavoro è un paese che ha deciso di governare il presente con la più pericolosa delle armi che può impugnare la politica: rinunciare al futuro.
Al direttore - E’ la seconda volta in meno di un mese che mi vedo costretto a scriverLe ai sensi dell’art. 8, L. n. 47/1948, stanti le notizie false e tendenziose, lesive della mia dignità e reputazione, che la Sua testata continua pervicacemente a diffondere. Questa circostanza mi duole molto, anche in ragione della disponibilità, già dataLe in passato e che oggi Le reitero, a un incontro auspicabilmente chiarificatore delle vicende che mi riguardano e per le quali il Suo giornale dimostra di nutrire particolare interesse, pur in assenza di una doverosa verifica delle fonti.
Veniamo al pezzo del 2/11 titolato “Minenna per forza”, a firma Valentini: l’interrogazione parlamentare ivi citata scaturì da un esposto anonimo che non ebbe esito alcuno e non determinò alcun provvedimento nei confronti del sottoscritto né della Consob, né dell’Autorità giudiziaria, né della Corte dei conti, poiché i fatti riportati erano frutto di ricostruzioni tanto false quanto tendenziose. All’epoca, chiesi un incontro al Senatore Elio Lannutti che ebbe modo di constatare, documenti alla mano, la falsità e la faziosità delle notizie inerenti la mia persona riportate in quell’esposto.
Basti dire che sono entrato in Consob non nel 2001 – come riporta l’articolo – ma nel 1996, quale uno dei primi vincitori di un concorso pubblico cui parteciparono più di mille candidati. E’ vero, invece, che diventai dirigente al primo scrutinio utile nel gennaio 2009, nel pieno rispetto dei requisiti di anzianità previsti dalla regolamentazione interna. Circostanza questa che smentisce una lettera a firma De Mattia, parimenti lesiva della mia dignità e reputazione, da Voi pubblicata il 31 ottobre scorso, in cui erroneamente si afferma che sarei “un dirigente al grado iniziale della relativa carriera”.
In attesa di un Suo riscontro al mio invito ad incontrarci quanto prima, Le porgo distinti saluti.
Marcello Minenna
Gentile Minenna, ancora una volta bisogna specificare che le vicende di cui trattiamo non riguardano la sua persona ma la Consob e nello specifico la nomina del suo presidente. L’oggetto dell’articolo, sembrava evidente ma forse occorre specificarlo in maniera più semplice, non è la sua carriera ma l’incoerenza del senatore Elio Lannutti del M5s che pochi anni fa la considerava un raccomandato e ora è, insieme all’onorevole Carla Ruocco, il suo principale sponsor per la presidenza della Consob. E questo riposizionamento è avvenuto senza alcuna spiegazione pubblica, che forse il senatore Lannutti dovrebbe fornire a tutti quelli che non hanno potuto partecipare al vostro incontro riservato. Dobbiamo anche respingere la pesante accusa di non aver verificato le fonti: la fonte è un’interrogazione parlamentare di Lannutti, un documento pubblico di cui anche lei riconosce l’esistenza e l’autenticità.
Al direttore - Nel silenzio dell’occidente assorto in altri pensieri – ben poco alti, mi consentirà di dire – in Pakistan una madre di famiglia di nome Asia Bibi, dopo essere stata per due volte condannata a morte e infine assolta dalla Corte suprema del grande paese asiatico – è ora ostaggio di migliaia (o forse di milioni?) di fondamentalisti che Corano alla mano ne pretendono l’impiccagione. E’ una vicenda che dovrebbe aprirci gli occhi, farci capire per cosa si muore – o si rischia di morire – davvero nel mondo, per la propria fedeltà a valori questi sì non negoziabili. Grazie al suo giornale – anche alla rubrica di ieri firmata da Adriano Sofri – per aver dato conto degli sviluppi terrificanti dell’intera vicenda. Sperando che le Istituzioni, una volta tanto, facciano davvero il loro dovere senza perdersi nel quotidiano berciare e nella polemica futile. E’ necessario scuotere le coscienze, svegliare i tanti assopiti e raccontare anche i più minimi particolari del caso di Asia Bibi. Perché dietro di lei ci sono altre decine di condannati alla pena capitale o al carcere a vita in nome dell’assurda legge sulla blasfemia, che non è, ahinoi, peculiarità pachistana.
Teodoro Labbagliato