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Viva il partito del 10 novembre. No alle fake news sui cellulari

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il 7 novembre è l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre. In un tempo non lontano a Mosca si svolgeva una grande manifestazione militare alla presenza di tutti i leader dei partiti comunisti del mondo. Oggi quell’evento non lo ricorda più nessuno. Spero che tra un secolo – si parva licet – si sia persa la memoria, in Italia, del 4 marzo 2018.

Giuliano Cazzola

 

L’unico modo per dare un senso al 4 marzo è far nascere il prima possibile il movimento del 10 novembre, formato da tutti coloro che hanno capito il dramma di affidare l’Italia ai populisti non il giorno prima ma il giorno dopo le elezioni. E sabato a Torino quel partito forse comincerà a prendere forma. Forse non saranno 40 mila, come la famosa marcia, ma lo spirito è quello, ed è uno spirito che va incoraggiato, elogiato ed esportato. Sfascisti no, grazie.

 

Al direttore - Nei giorni scorsi la Repubblica e il Corriere della Sera hanno dato evidenza ai risultati di uno studio sperimentale sulla relazione tra “cellulari e cancro”. Una ricerca, durata dieci anni, su 3.000 cavie (topi e ratti, suddivisi in varie modalità e categorie di esposizione), sottoposti a campi elettromagnetici da 1.900 MHz (megahertz), quelle dei telefoni cellulari americani di seconda e terza generazione. L’esposizione, precisiamo, è stata continua per due anni (9 ore al giorno con pause di 10 minuti ogni 10 minuti di esposizione), su tutto il corpo delle cavie. Già questo esclude un trasferimento dei risultati dell’esperimento dai ratti all’uomo, per il quale l’esposizione interessa una parte limitata del corpo. Inoltre, i livelli, le dosi e le forme di esposizione degli uomini alle onde elettromagnetiche delle tecnologie cellulari sono soggette a normative che ne limitano le intensità, che invece sono state superate per tutti gli esperimenti effettuati nello studio. I risultati di questa ricerca sui ratti avrebbero dato una unica evidenza definita “chiara”: un aumento (tra il 5 e il 7 per cento) di tumori del cuore nei ratti maschi. Non sulle femmine, né sui topi. A voler essere precisi, una conclusione circa questa ricerca, che interessa noi umani, sarebbe, piuttosto, la seguente: la dose irradiata verso il cervello delle cavie, assai più massiccia di quella indotta da un telefono o apparato cellulare verso il nostro cervello di umani, non avrebbe, secondo lo studio americano, indotto alcun effetto cancerogeno. E per tutte le categorie di cavie (ratti e topi di entrambi i sessi). Ai fini degli effetti sanitari dell’uso dei cellulari sugli organi umani esposti (cervello e sistema) dell’udito questa conclusione dello studio sarebbe di enorme interesse. Nell’informazione di stampa che viene data, però, questo elemento viene, del tutto sottaciuto. Viene enfatizzato, invece, un risultato (peraltro l’unico conclamato dallo studio) che, più che allarmante appare piuttosto bizzarro: un aumento di tumori del cuore (zona di scarso interesse per le aree di esposizione umana agli effetti dei cellulari) esclusivamente nei ratti maschi. Non nelle femmine, né nei topi. Com’è possibile? Si tratterebbe di una stravaganza piuttosto singolare in cavie che condividono la stessa biologia. Un’informazione corretta e completa nei servizi quotidiani sui rischi delle onde elettromagnetiche e su loro presunti effetti cancerogeni tace e nasconde al pubblico, pressoché sempre, due informazioni basilari, fondamentali, essenziali. La prima: le radiazioni indotte da ogni apparato o infrastruttura di comunicazione sono, fisicamente, radiazioni non ionizzanti (Nir). Che significa? Che hanno sui tessuti viventi coinvolti un effetto solo termico, di riscaldamento delle molecole e degli atomi coinvolti. Hanno forza per agitarle (calore), ma non hanno energia sufficiente a romperle. Per le frequenze che usano (tra pochi Hertz e 300 GHz) non hanno la forza per modificare i legami cellulari. Come, invece, fanno le radiazioni ionizzanti (Ir): raggi ultravioletti, raggi X e raggi gamma. La carcinogenesi, creazione di tumori, ha origine esclusiva nella modifica cellulare, nella rottura dei legami atomici o molecolari. Non nel riscaldamento di essi. Chi parla, con troppa disinvoltura, di effetti cancerogeni dovrebbe riflettere sul fatto che attribuirle ad agenti non ionizzanti, tipo le frequenze emesse dalle antenne degli apparati di comunicazione, significherebbe una novità della fisica e della chimica cellulare e della biologia. La seconda: nella, talvolta ossessiva, ricerca di un effetto sanitario delle tecnologie cellulari si trascura, da parte dei media, l’informazione fondamentale. Di tutela e sicurezza per il pubblico dei consumatori. La valutazione degli effetti biologici e/o sanitari dei rischi delle emissioni elettromagnetiche degli apparati di telecomunicazione è affidata a una un’architettura rigorosa di organismi internazionali: l’Oms, Organizzazione Mondiale della sanità; lo Iarc il suo braccio di ricerca che verifica le eventuali relazioni causali tra esposizione alle frequenze elettromagnetiche e l’insorgenza di tumori; l’Icnirp, organizzazione di esperti collegata all’Oms che stabilisce le normative da adottare per fronteggiare, negli ambienti di lavoro e per il pubblico, gli effetti delle radiazioni. A questi enti internazionali, noi europei, possiamo aggiungere lo Scenihr, un ulteriore organo della Commissione europea che valuta gli effetti sanitari delle onde elettromagnetiche. Ogni volta che si “spara la notizia” di risultati di studi, di singole di agenzie nazionali, enti, centri di ricerca, singoli scienziati o laboratori, bisognerebbe sapere che non si tratta di novità. Questa letteratura è nota ed è al vaglio della valutazione e della validazione degli organismi internazionali. E’ essa l’autorità che dà l’impronta agli studi indipendenti. E tale autorità, in modo univoco, è giunta alla seguente, attuale conclusione: l’unico effetto accertato, dovuto ai campi a microonde usati nelle telecomunicazioni, è il riscaldamento dei tessuti.

Umberto Minopoli,

Fondazione Ottimisti e Razionali

 

Al direttore - Veni, vidi, ici. Massì, forse alla fine è meglio per tutti. La sentenza della Corte di giustizia europea che impone il recupero dell’Ici non pagata dal 2006 al 2011 anche per gli edifici religiosi va letta con la dovuta dose di laicità e senza paraocchi ideologici. Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio, no? Così la finiamo una volta per tutte di mischiare sacro e profano. E la chiesa finalmente libera da lacci e lacciuoli potrà assolvere di più e meglio alla sua missione che è innanzitutto di ordine spirituale, ossia quel bene supremo – come lo definisce il codice di diritto canonico – che è la salvezza delle anime. Tutto bene dunque, e il governo italiano faccia la cortesia di non cadere nel trappolone del solito complotto ordito dai burocrati di Bruxelles. Piuttosto, avrei una domanda: se tanto mi dà tanto d’ora in avanti l’Ici dovranno pagarla anche le moschee?

Luca Del Pozzo

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