Elogiare lo spread no, ammirare la manina invisibile dei mercati sì
Al direttore - Giuliano Ferrara sul Foglio di ieri mette efficacemente in luce una faccia della medaglia trascurata: ricattata, con il ribadimento del Documento programmatico di bilancio da parte del governo, è l’Europa, non l’Italia, approfittando il governo italiano di una condizione di debolezza e di indecisione degli organi comunitari e degli stessi partner. Insomma, l’esecutivo potrà pur essere isolato, ma si considera sicuro di resistere alle procedure europee. Resta, però, da osservare quale sarà la risposta di un altro soggetto, fondamentale nella valutazione della manovra finanziaria, che non ha la stessa debolezza, anzi potrà essere molto veloce nelle reazioni, mentre i suoi attori hanno quelle che Einaudi chiamava, riferendosi ai risparmiatori, gambe di lepre: il mercato. Ancor più va considerata la reciproca interazione tra quest’ultimo, le decisioni delle autorità europee – ancorché a rallentatore e probabilmente inceppate secondo le osservazione di Giuliano – le agenzie di rating e gli impatti sulle banche e, “a cascata”, su imprese e famiglie. Deficit e debito sarebbero, per noi, un problema anche se non esistessero l’euro e l’Unione. Ci fanno essere ancora un vaso di coccio, come scrisse Antonio Fazio, costretto a viaggiare tra vasi di ferro. Naturalmente, è giusto augurarsi che non vi siano sviluppi funesti. Ma i rischi incombenti sono pesanti. E la sberla del mercato – “quod Deus avertat” – può fare molto più male di quella di Bruxelles sulla cui efficacia giustamente Giuliano Ferrara può dubitare.
Angelo De Mattia
“Non serve a niente che il superbo e insensibile proprietario terriero ispezioni i suoi vasti campi, e che, senza pensare ai bisogni dei suoi fratelli, nell’immaginazione consumi da solo tutto il grano che vi cresce. Il familiare e comune proverbio, che dice che l’occhio è più grande della pancia, non è mai stato così vero come nel suo caso. La capacità del suo stomaco non regge il paragone con l’immensità dei suoi desideri, e non è maggiore di quella del più umile contadino. La produzione del terreno mantiene in ogni momento quasi lo stesso numero di persone che è in grado di mantenere. I ricchi non fanno altro che scegliere nella grande quantità quel che è più prezioso e gradevole. Consumano poco più dei poveri, e, a dispetto del loro naturale egoismo e della loro naturale rapacità, nonostante non pensino ad altro che alla propria convenienza, nonostante l’unico fine che si propongono dando lavoro a migliaia di persone sia la soddisfazione dei loro vani e insaziabili desideri, essi condividono con i poveri il prodotto di tutte le loro migliorie. Sono condotti da una mano invisibile a fare quasi la stessa distribuzione delle cose necessarie alla vita che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali tra tutti i suoi abitanti, e così, senza volerlo, senza saperlo, fanno progredire l’interesse della società, e offrono mezzi alla moltiplicazione della specie”. Adam Smith, nel 1759, spiegò così la teoria dei sentimenti morali. Quella teoria è ricordata per l’espressione “mano invisibile” del mercato. Molti anni dopo quella teoria è ancora valida anche se al posto del “mercato” scriviamo “mercati” e anche se al posto di “mano” scriviamo “manina”. Più che preoccuparsi delle manine dell’Europa, o delle burocrazie, le manine che possono far male al governo del cambiamento sono proprio queste: quelle benedette che proteggono i nostri risparmi. Tifare per lo spread è una pazzia, naturalmente. Sperare che i segnali dei mercati non vengano ignorati dovrebbe essere semplice buon senso. O no?
Al direttore - Cinquantacinque anni fa, il 22 novembre 1963, veniva ucciso John Kennedy. La storia e la cronaca hanno già raccontato tutto il raccontabile, dunque sfrutto l’occasione solo per rammentare quello che per me è il passaggio più importante del suo discorso l’insediamento: “Ask not what your country can do for you, ask what you can do for your country”. Traduco a favore dei decrescenti festanti e dei boccaloni sparsi: non chiederti quello che il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese. Chiaro?
Valerio Gironi
Al direttore - Caro direttore, in merito all’articolo pubblicato dal Foglio il 13 novembre 2018, che si basa su un’intervista da me rilasciata, al fine di evitare che il titolo possa essere confuso con una mia dichiarazione le sarei grato se potesse chiarire che il titolo non è una citazione di quanto da me dichiarato. A tal proposito ribadisco che non ho fatto commenti sulla politica dell’immigrazione italiana e di nessun altro paese a eccezione dell’Australia. Infatti spetta ai singoli governi individuare le risposte più appropriate alle proprie specifiche circostanze che rispettiamo totalmente. Con i miei migliori saluti.
Greg French, Ambasciatore d’Australia